Cacciari: «In María Zambrano l’aspirazione ad essere un sapere dell’anima»

Il filosofo Massimo Cacciari ha tenuto a battesimo, ieri a Brescia, un’importante iniziativa editoriale: la presentazione del libro di María Zambrano «L’uomo e il divino» (448 pagine, 32 euro), con il quale l’editrice Morcelliana inaugura una collana destinata a ospitare l’edizione critica delle opere della filosofa spagnola (1904-1991), una delle maggiori voci del ’900.
Un’impresa che richiederà una decina d’anni secondo Armando Savignano, docente di Filosofia morale all’Università di Trieste e curatore del volume. E che, riproponendo diversi testi già pubblicati in Italia da vari editori – grazie proprio a Cacciari, che negli anni ’90 aprì la via a una lettura approfondita di questa autrice –, consentirà di «mettere in ordine» i tasselli di un’opera ampia e complessa.
Nella chiesa di San Cristo, ospite dei Missionari Saveriani – la cui rivista «Missione oggi», ha ricordato padre Mario Menin, celebra il 120mo anno di vita –, Cacciari è stato introdotto da Sara Bignotti, responsabile editoriale di Morcelliana, che ha sottolineato la condizione di «esilio» nella quale Zambrano ha vissuto. Nella Spagna degli anni Trenta fu un’«eretica», tra le prime donne dedite alla carriera universitaria. Fuggita nel 1939 dalla dittatura franchista, peregrinò a lungo in molti Paesi tra Sud America ed Europa. Ma subì anche un «esilio editoriale e storiografico», per il riconoscimento tardivo dell’importanza del suo pensiero.
Uscito per la prima volta nel 1955, «L’uomo e il divino» è composto di cinque parti, le ultime due aggiunte nell’edizione definitiva pubblicata nel 1973. In esso – riassume Savignano – Zambrano ripercorre le relazioni dell’Occidente col divino, «dalla nascita pre-greca degli dèi, alla disputa tra filosofia e poesia intorno ad essi, ad Aristotele e alla sua condanna dei pitagorici, al cristianesimo, alla nietzschiana morte di Dio e alla riapparizione del sacro all’interno del nichilismo». Ne risulta – scrive nella postfazione Jesus Moreno Sanz – «una specie di biografia dell’Occidente», nella quale «emerge quel “nucleo invulnerabile” che Zambrano identifica nella stessa anima umana, centro del dialogo col divino, e che è ciò che intende delimitare come la sua più intima speranza dinanzi all’assenza, al vuoto e alla ricaduta nell’ermetismo della cultura occidentale contemporanea».
Proprio l’aspirazione ad essere un «sapere dell’anima» – «quell’ombra infinita ed atemporale che abita nel cuore dell’essere umano» – caratterizza, secondo Cacciari, la riflessione di Zambrano. Essa «riprende la critica di Pascal al razionalismo cartesiano: ci sono ragioni del cuore di cui bisogna cercare di raggiungere un sapere». La filosofia non ha la possibilità di esprimere tali ragioni, non riesce a «giustificarsi di fronte alla vita». Zambrano cerca invece «un sentire illuminante, in grado di mantenere un rapporto con le “viscere” dell’anima, e nello stesso tempo di illuminarle». Non un pensiero logico-razionale ma una «ragione poetica», paragonabile al letto di un fiume nel quale scorrono passioni e affetti: «Un letto che non trattiene la corrente ma l’accompagna dandole una direzione, un ordine».
È un pensiero «che non disvela», nutrito da ciò che per Zambrano è il «sacro», ossia «l’assolutamente aperto e irraggiungibile, lo sfondo di tutte le figure del divino». Cacciari cita una metafora contenuta nel libro «Chiari del bosco», per lui il capolavoro di Zambrano: «La luce del pensiero si apre sempre all’ombra del bosco. Non può disboscare, ma solo illuminare nel fitto dell’ombra». Senza l’illusione di un «logos» svincolato dal sentire, perché «non si può sapere senza soffrire». Quale parola è adeguata, dunque, a esprimere questo «sapere illuminante»? Osserva Cacciari: «Sembrerebbe che per María Zambrano la poesia, più della filosofia, sia la parola di una conoscenza che soffre. Ma non è così: per lei filosofia e poesia tendono a un linguaggio che non appartiene a nessuna delle due. A entrambe la parola manca, e nella sua scrittura Zambrano esprime questa situazione del nostro linguaggio».
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