Brividi kolossal nel Sahara sul set della Marcia Verde

La storia recente del Marocco si rivela sotto una nuova luce, grazie all’arte di un bresciano d’adozione. È il direttore della fotografia Luca Coassin, che ha trascorso l’estate scorsa nel deserto ad illuminare il set di «Al Massira - La Marcia Verde», un colossal sulla processione pacifica verso il Sahara Occidentale di 350mila cittadini e 25mila soldati marocchini coordinati da re Hassan II, avvenuta nel 1975 per presidiare i territori contesi con la Spagna.
Il film sarà presentato giovedì prossimo, 10 dicembre, fuori concorso al Festival di Marrakech, che per questa XV edizione vanta una giuria presieduta da Francis Ford Coppola (tra i membri Sergio Castellitto, Anton Corbijn, Jean-Pierre Jeunet e Thomas Vinterberg).

Sul tappeto rosso il giorno della presentazione ci sarà anche Coassin, di origine friulana, che da vent’anni vive a Brescia, dove sono nati i suoi due figli. Oltre a molte esperienze con registi internazionali - tra cui gli italiani Eros Puglielli e Giuseppe Lazzari - è diventato una star del cinema nordafricano nel 2008 per aver curato la fotografia di «Casanegra», ritratto della gioventù di Casablanca, la pellicola più vista nella storia del cinema marocchino grazie ad un passaparola più forte della censura.
Coassin, come è nato il film sulla Marcia Verde?
Il regista Youssef Britel ha voluto celebrare i 40 anni dell’evento. Per girare il film nel Sahara, vicino alla città di Laayoune, sono stati costruiti tre villaggi, uno per le comparse (3mila persone), uno per la troupe (150) e uno per i militari (1.500 tra figuranti e servizio di sicurezza). Uno sforzo logistico impressionante. Inoltre nel cast ci sono tutti i migliori attori marocchini.
Cosa rimarrà indimenticabile di questa esperienza?
Sicuramente la «densità» di ogni inquadratura: per la prima volta in 25 anni di cinema avevo sempre il fotogramma affollato da un numero di persone variabile tra le 40 e le 3mila. Una rappresentazione dell’umanità alla quale non si può rimanere indifferenti, sia come operatori che come uomini.
Parlare di un «confine conteso» ha un senso simbolico o si tratta solo di una rievocazione?
L’attualità del film è nell’idea della libertà come un concetto realizzabile concretamente solo con la presenza fisica condivisa. La «partecipazione» cantata da Gaber.
Se al festival avrà occasione di parlare con Coppola, cosa gli dirà?
Che per filmare nel deserto ho usato le stesse ottiche di «Apocalypse Now»
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