Biagio Zoli, il percussionista dall'anima classica e rock

Suono inconfondibile, fraseggio elegante, ampio spettro timbrico, energia, verve, tenacia. Biagio Zoli, percussionista di Isorella, dal 2015 è Primo Timpano Solo dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino. Ha suonato con alcuni fra i maggiori direttori al mondo (Muti, Temirkanov, Metha, Baremboim, Gergiev, Abbado...) e in numerose orchestre (La Scala di Milano, Santa Cecilia di Roma, Die Deutsche Kammerphilharmonie di Brema, Estonian Festival Orchestra); attivo anche nel pop–rock, è stato batterista/percussionista con Elio, Antonella Ruggiero, Moni Ovadia, Giovanni Allevi, Pikkerosse. Da un paio d’anni ha fondato e dirige la Torino Sinfonietta, venti virtuosi dell’orchestra Rai.
«È sempre stato un mio sogno condurre un gruppo – spiega Zoli –, come ho visto fare dal mio maestro di Conservatorio di Parma, Danilo Grassi, direttore del prestigioso Nextime Ensemble. Con Torino Sinfonietta eseguiamo riduzioni di grandi lavori sinfonici (Mahler, Respighi, Strauss, Stravinski). Domenica 29 gennaio suoniamo all’Auditorium della Rai di Torino».
«Ho respirato musica fin da piccolo – prosegue Zoli –, vivevo in una famiglia di appassionatissimi musicisti dilettanti. Voglio ricordare i nomi di alcuni miei maestri: Corrado Guarino, Mario Fulgoni, Brian Barker amico e timpanista stellare, Torsten Schönfeld, l’uomo dal suono più profondo che abbia mai sentito. Un posto a parte riservo a Riccardo Muti: da lui ho appreso la dedizione totale alla musica».
Un esempio?
Teatro San Carlo di Napoli, «Pezzi Sacri» di Giuseppe Verdi. Nel movimento «Laudi alla Vergine Maria», per coro femminile a cappella, Muti posa la bacchetta e fissa intensamente le coriste. Sembrava fosse entrato Verdi in persona. Sento il loro respiro. Silenzio assoluto. Pensiero e consapevolezza. Questa è grandezza artistica, amore, emozione, commozione, il resto è roba da social.
Come si conciliano in lei anima rock e cuore classico?
«Inseguo la bellezza, qualsiasi genere o repertorio stia affrontando. Si possono percorrere più strade, purché mossi da serietà e scrupolo, si tratti di lirica, techno, gregoriano o Power Metal. È il suono che si cerca, prima di ogni classificazione. Cito un episodio che considero altamente istruttivo. Osaka Festival Hall, dirige Paavo Järvi, Sinfonia n. 2 di Sibelius: il timpano deve eseguire 4 semplici colpi da solo. Inavvertitamente non controllo la meccanica dei pedali e delle pelli (lo faccio sempre!) e non suono la nota corretta per tutti e quattro i colpi. Muoio di rabbia e di vergogna. Con uno sguardo Järvi mi perdona. Mi rimetto in sesto ed eseguo il resto della Sinfonia in maniera monumentale e felice abbandono. Successo clamoroso. Finito il concerto, incrocio il maestro durante il rinfresco: «Può succedere, ma mettiamoci sempre al sicuro», mi dice con un sorriso. Lì ho capito che per suonare con libertà occorrono preparazione totale, prontezza di spirito per tutte le variabili; non è contemplato il pressapochismo, una banalità può essere decisiva. E poi, di fronte alla musica, chi non si sente povero e colmo di interrogativi?
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