Cultura

Berengo Gardin e Stagnoli: storia (e scatti) di un'amicizia

Un incontro fra artisti nato da «un'immediata simpatia umana e da sintonie profonde»
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La cultura è innanzitutto amicizia. E quando gli occhi di due grandi amici come Antonio Stagnoli e Gianni Berengo Gardin si incrociano, si può stare sicuri che la realtà acquista una luce tutta particolare. Così parlar d’arte significa parlare di intese, di relazioni, di ricordi. 

«L’amicizia è narrazione - precisa immediatamente Berengo Gardin, seduto alla piccola scrivania della galleria di Mario Zanetti a Bagolino, con davanti a sé le due meravigliose Leica M7. Niente digitale, ovviamente. E niente colore (perché «il bianco e nero contiene tutti i colori, tutte le sfumature che servono, appunto, per narrare»).

Alla radice sta una «immediata simpatia umana che ha generato un’amicizia giovane, ma molto intensa». L’obiettivo è «raccontare in un libro fotografico Antonio Stagnoli nel suo mondo, la radice profonda della sua pittura. Ecco allora Stagnoli nel suo studio, al cimitero, davanti alla tomba dei suoi, all’osteria con gli amici di sempre, lui nel suo paese, Bagolino, teatro di tutta la sua pittura, dei volti e dei contesti che ha portato sulla tela».

Cosa ha cercato l’occhio del fotografo in Stagnoli?

La sua profonda umanità. Ho cercato i suoi occhi e le sue mani. Occhi che mi guardavano e mani che lavoravano. Il tutto in modo molto istintivo e legato ad un profondo feeling. L’istinto guida la fotografia. Se stai lì a ragionare ti infogni, ti perdi... Con Stagnoli, dopo un primo momento di imbarazzo, è nato un rapporto straordinario e insieme, noi due così vecchi, abbiamo giocato con i nostri sguardi.

 

L'intervista al grande fotografo raccolta da Giacomo Scanzi sul Giornale di Brescia in edicola oggi o qui sul Gdb Digital

 

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