Cultura

Banditi e fuorilegge leggendari del Far West bresciano

Da Zanzanù a Giorgio Vicario: le storie dei banditi nell’accurato «Banditi e fuorilegge nelle Alpi tra Medioevo e primo Ottocento»
L’uccisione. Quadro ex voto in cui viene raffigurata la morte di Zanzanù e dei suoi uomini per mano degli abitanti di Tignale
L’uccisione. Quadro ex voto in cui viene raffigurata la morte di Zanzanù e dei suoi uomini per mano degli abitanti di Tignale
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Durante la dominazione veneta, l’amministrazione della giustizia nel territorio bresciano, con la parziale eccezione della città, era una specie di Far West, dove spadroneggiavano la giustizia sommaria e la legge della vendetta, amministrate dai diretti interessati o da sicari prezzolati, mentre le forze dell’ordine venivano reclutate nei medesimi bassifondi che rifornivano le bande dei malviventi; non di rado si stabilivano alleanze trasversali, tra malviventi e grandi famiglie o addirittura tra magistrature e banditi, ai quali veniva promessa la remissione della pena in cambio dell’aiuto fornito contro i loro compari, in una rete inestricabile di tradimenti che, dopo brevi tregue, suscitavano nuove vendette.

Come nel caso di Giorgio Vicario, rampollo discolo di una delle migliori famiglie di Pisogne, e taglieggiatore dei commercianti per circa un decennio, grazie anche alla protezione di due aristocratici bresciani tristemente celebri, Bartolomeo Bargnani e Marc’Antonio Martinengo da Barco, finché il 14 novembre 1727 gli fu tagliata la testa nella macelleria di sua proprietà, per mano di Giuseppe Secchi, già suo amico e compagno di malversazioni, che Giorgio aveva tradito e consegnato alla giustizia, dopo averlo costretto a cedergli tutti i suoi beni; ma il Secchi aveva poi patteggiato con i giudici la propria libertà in cambio della testa del Vicario. 

Simile a lui, nell’alternare la violenza al tradimento, fu Giacomo Panzerini da Cedegolo, in Valcamonica, che poteva mobilitare qualche centinaio di armati e godeva di protezioni altissime, anche nella Milano asburgica e tra i Grigioni; la giustizia veneta non riuscì a fargli pagare il fio dei suoi misfatti, ma una morte ugualmente atroce lo colse a Sondrio, nel 1777, «dopo lunghissima infermità», «consunto da venerea lue».

 

Da Gargnano. La fuga di Giovanni Beatrice, nel dettaglio di un dipinto, riportato in «Banditi e fuorilegge nelle Alpi tra Medioevo e primo Ottocento»
Da Gargnano. La fuga di Giovanni Beatrice, nel dettaglio di un dipinto, riportato in «Banditi e fuorilegge nelle Alpi tra Medioevo e primo Ottocento»

 

Morì invece in battaglia Giovanni Beatrice da Gargnano sul Garda, detto Giovanni Zannoni e, in dialetto, Zanzanù, sceso sulla strada del crimine per vendicare il duplice assassinio del fratello della moglie, il giovane chierico Ambrogio Pullo, e del padre, Giovan Maria Beatrice; divenuto arbitro dei traffici gardesani, si specializzò nei rapimenti con riscatto dei possidenti locali; eclissatosi a Parma, dove servì come ufficiale agli ordini di Ranuccio Farnese, si proclamò pentito e disposto a servire nell’armata veneta; ma era tardi e, di fronte al rifiuto, si diede nuovamente alla macchia, per organizzare il rapimento dell’anziano e ricco Zuanne Cavaliere da Tignale. Era il 17 agosto 1617, la popolazione insorse contro Zanzanù e i cinque accoliti, costringendoli a cercar riparo sui monti dove egli - rimasto con due soli uomini, dopo scontri a fuoco - fu intercettato dai compatrioti di Gargnano, che uccisero tutt’e tre nella valletta delle Monible.

La vicenda si può vedere ancor oggi riprodotta nel grande quadro ex voto alla Madonna di Montecastello, commissionato dalla comunità di Tignale. Non solo: verrà rievocata giovedì e venerdì prossimi, alle 18,30 e alle 21, proprio al Santuario di Montecastello, con gli attori della compagnia specializzata L’Archibugio (ingresso libero, prenotazione obbligatoria al 389.5167616; navetta gratuita dalla località Santa Libera). Il volume.

Queste ed altre storie (Galeano Lechi, «il conte Diavolo»; l’ultimo dei bravi, Giovanni Maria Borni, «capitanio della Valcamonica»; Girolamo Bergomi e la banda Feraij di Gardone Val Trompia), anche non bresciane (l’ex prete Giovanni Battista Bevilacqua di Malé, criminale in proprio e reclutatore di giovani ignari, «carne da cannone» per il re di Prussia; Giosué Gianavello, strenuo difensore della libertà valdese), fino ai banditi coinvolti, in Età Napoleonica, dai nuovi problemi dei disertori e dei renitenti alla leva obbligatoria, come Giuseppe Garatti da Fraine, Branda de Lucioni (forse di Varese) e Giuseppe Majno di Spinetta (Alessandria), si trovano narrate, con ritmo avvincente e con documentata precisione, nel volume «Banditi e fuorilegge nelle Alpi tra Medioevo e primo Ottocento» (388 pagine, 25 euro), scritto da studiosi di tutto l’arco alpino e edito a cura di Luca Giarelli per la Società Storica e Antropologica di Valle Camonica.

 

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