Cultura

«Autografi dei letterati italiani», il volume dedicato al '500

A colloquio con curatori e autori del volume dedicato alle testimonianze manoscritte degli scrittori della letteratura italiana
Una pagina dell'Orlando furioso di Ariosto - © www.giornaledibrescia.it
Una pagina dell'Orlando furioso di Ariosto - © www.giornaledibrescia.it
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Per la redazione degli «Autografi dei letterati italiani», gli autori si sono avvalsi di materiali manoscritti «on line», di documenti di molte biblioteche e archivi - dalla Biblioteca Laurenziana alla Bibliothèque di Parigi - sviluppando laboriosi raffronti di digitalizzazione dei loro fondi. Integra ogni scheda un dossier di immagini commentate da una «Nota sulla scrittura», illustrate e ragionate.

Abbiamo rivolto alcune domande ai tre curatori del volume e a due degli autori delle «voci».

Prof. Motolese, voi scrivete che l’analisi degli autori «dovrebbe consentire di valicare la dimensione segreta dello scrittoio». Può esplicitare questo concetto?

L’obiettivo di tutta l’impresa degli «Autografi dei letterati italiani» - fin da quando nel 2007 con Emilio Russo l’abbiamo concepita e proposta al Centro Pio Rajna - è quello di offrire una mappa delle testimonianze manoscritte degli scrittori della letteratura italiana: i loro appunti di lavoro, gli abbozzi delle loro opere, ecc. È a questo che si riferisce l’espressione che lei ha richiamato: rendere di nuovo visibile ciò che era per ovvie ragioni privato. Non per mera curiosità, ma per ciò che permette di capire dal punto di vista scientifico.

Prof. Procaccioli, vostro auspicio è che dal volume possa venire «uno stimolo a superare la lettura verticale dei materiali, autore per autore». Con quali finalità?

A monte dell’iniziativa c’è la consapevolezza che tanto il singolo gesto grafico, quanto la costruzione della pagina, sono un prodotto culturale, e cioè sono tali che, o si rifanno a modelli condivisi, o al contrario si allontanano volontariamente da quei modelli. Ne consegue che permettere al lettore di guardare un singolo testo o l’insieme dei testi di un autore secondo quel punto di vista, vuol dire consentirgli di interrogarli criticamente per recuperare quanto di storia - soprattutto in termini di relazioni, affinità e dipendenze - è implicito nel modo di scrivere e di organizzare la pagina.

Prof. Russo, con quali criteri avete selezionato le immagini?

Sin dal principio del progetto l’idea è stata quella di accompagnare lo studio delle carte, e in particolare il censimento degli autografi dei singoli autori, con un dossier di immagini, che fosse rappresentativo della loro scrittura secondo almeno due parametri. Da un lato le eventuali variazioni nelle diverse occasioni di scrittura: dagli appunti privati alle opere destinate alla circolazione, dalla scrittura in versi a quella in prosa, soprattutto epistolare; dall’altro le variazioni «causate» dal tempo, il modificarsi della scrittura con l’andare degli anni, man mano che gli scrittori entravano nella maturità e poi nella vecchiaia. Ci siamo dati, dunque, una misura orientativa (circa 4 o 6 immagini per autore) e abbiamo cercato di raccogliere entro quella misura immagini che rispondessero a questi criteri; fondamentale è stato il dialogo con gli enti di conservazione, e in particolare la disponibilità straordinaria delle biblioteche statali, che hanno supportato il progetto degli «Autografi» con grande generosità.

Prof. Simone Albonico, perché i manoscritti relativi al «Furioso» sono solo una piccola parte di quella prodotta dall’Ariosto?

I Frammenti autografi relativi alle aggiunte intervenute tra l’edizione del 1521 e quella del 1532 è probabile che siano sopravvissuti in quanto, morto Ariosto di lì a poco (1533), subito ebbe inizio la monumentalizzazione dell’autore e dell’opera, che favorì la loro conservazione da parte degli eredi e della cerchia ferrarese di amici estimatori. Al contrario, i materiali relativi alla prima stesura edita nel 1516, a quanto si sa stratificati e tormentati, dopo la stampa non dovevano costituire per l’autore qualcosa di ancora utile o prezioso; mentre le copie delle edizioni del 1516 e del 1521 riviste da Ariosto andarono certo in tipografia per fare da base per le edizioni successive, e soprattutto per questa ragione non sopravvissero.

Prof. Carlo Vecce, come sintetizza l’evoluzione nel tempo della grafia leonardesca?

La scrittura, per Leonardo, è uno straordinario strumento espressivo, qualcosa che va ben oltre le abitudini grafiche dei suoi contemporanei: una scrittura personale, privata, eseguita alla rovescia (da destra a sinistra), come è naturale per un mancino. Nel tempo però anche la grafia cambia: abbandona i vezzi ornamentali, diventa sempre più concreta e funzionale, come per aderire alla ricerca scientifica e intellettuale, e dialogare anche con il disegno. Negli ultimi fogli, parola e immagine sono ormai integrati in un unico strumento comunicativo, di eccezionale modernità.

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