Arte

«Persia Felix», l’antico Iran in mostra al Mita

La Redazione Web
L’esposizione dedicata ai tappeti, alle miniature e agli utensili metallici dal 1500 al 1700 sarà inaugurata domenica 3 marzo
  • «Persia Felix» al Mita, Museo del Tappeto di Brescia
    «Persia Felix» al Mita, Museo del Tappeto di Brescia - New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
  • «Persia Felix» al Mita, Museo del Tappeto di Brescia
    «Persia Felix» al Mita, Museo del Tappeto di Brescia - New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
  • «Persia Felix» al Mita, Museo del Tappeto di Brescia
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  • «Persia Felix» al Mita, Museo del Tappeto di Brescia
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  • «Persia Felix» al Mita, Museo del Tappeto di Brescia
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  • «Persia Felix» al Mita, Museo del Tappeto di Brescia
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Il Mita, il Museo del Tappeto di Brescia in via Privata de Vitalis, sta per inaugurare la sua seconda mostra: «Persia Felix» sarà dedicata ai tappeti, alle miniature e agli utensili metallici dell’antico Iran dal Cinquecento al Settecento. Il vernissage si terrà domenica 3 marzo alle 11. Resterà poi visibile fino al 14 luglio 2024, sabato e domenica dalle 11 alle 19 con ingresso gratuito.

«Stavolta abbiamo invitato a esporre due grandi collezionisti: la Fondazione Bruschettini per l’arte islamica e asiatica di Genova e NUR Islamic Metalworks Collection di Milano», spiega Flavio Pasotti, presidente di Fondazione Tassara, l’ente che si occupa del Mita. Non ci sono infatti solo tappeti, ma anche fogli calligrafici e fusioni di oggetti quotidiani: l’esposizione è un’occasione rara per ammirare l’arte persiana, e più in generale l’arte orientale e islamica, poco rappresentata in Italia.

Sulle pareti si trova una trentina di tappeti, ma anche le quartine di Omar Kayamm, astronomo, matematico e filosofo duecentesco, «che danno un’idea dell’Islam meno tradizionale di quella a cui siamo abituati», dice Pasotti. «Parla di un mondo laico, aperto, disincantato», conferma Giovanni Valagussa, il curatore della mostra e della sede espositiva che raccoglie la Collezione Zaleski e che stavolta ha voluto indagare attraverso l’arte tessile e altri oggetti la Persia safavide, quella del periodo tra il Cinque e il Settecento, a cui si deve il disegno dell’Iran dei giorni nostri.

«Il titolo è un calco di Arabia Felix, con la quale i romani indicavano lo Yemen, e vuole sottolineare una civiltà sorprendente e magnifica, aperta agli scambi: il periodo che coincide con il nostro Rinascimento». In quel periodo era ammessa anche la rappresentazione di uomini e animali, non concessa nell’Islam più rigoroso, e questo si riflette sulle trame dei tappeti in mostra, che presentano immagini raffinatissime ed elaborate. Il pezzo principale, per esempio, è un frammento di un antico tappeto Isfahan di cui è stata conservata la parte centrare: si notano cervi, giaguari e tigri, scene naturalistiche e fantastiche. Anche i pezzi metallici (come una lampada a olio zoomorfa) e le rarissime miniature che mischiano calligrafia e motivi floreali lo mostrano.

I tappeti provengono principalmente da tre grandi e antiche città, da cui riprendono il nome: Isfahan (ricchissimi, sontuosi, floreali, per la corte reale); Kirman (raffinati, geometrici e narrativi); e Heriz (più lineari). A essi si aggiungono tre tappeti più recenti, otto-novecenteschi, che si avvicinano al gusto occidentale liberty, floreali e ricchi.

Anche la colonna sonora che aleggia nel museo fa parte – insieme alla gigantesca proiezione delle pagine del «Journal du voyage du chevalier Chardin en Perse» – dell’esperienza: una piacevole musica contemporanea persiana del duo Zoj, che si esibirà per la prima volta in Italia in occasione di un concerto a giugno, parte dei vari eventi a corredo della mostra che verranno annunciati in seguito (con il catalogo: arriverà nel giro di un paio di settimane e sarà in vendita nella sede espositiva).

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