«Homo viator», l’umanità in cammino dalla selva oscura ai migranti
Una piccola mostra che traccia con passo misurato una riflessione antropologica ancor prima che religiosa sul significato del cammino, tra pellegrinaggio, migrazione e ricerca interiore, è stata inaugurata venerdì al Museo Diocesano, dove resterà fino all’1 settembre. «Homo viator. Una mappa artistica e spirituale per il Giubileo» fa dialogare antico e contemporaneo in un percorso articolato in quattro sale tematiche, accompagnando i visitatori in un viaggio che è tanto fisico quanto simbolico, e che si costruisce per affinità, dissonanze, accostamenti mai banali tra documenti del passato, provenienti dagli Archivi diocesani, e interventi di artisti contemporanei.
Dante
In apertura ci si sofferma sulla figura emblematica di Dante, autore del il più celebre pellegrinaggio letterario della storia, scritto proprio in quel 1300 che fu l’anno del primo Giubileo: una coincidenza cronologica che fa corrispondere a un cammino religioso un cammino umanistico.
La sua selva oscura, simbolo di ogni smarrimento umano, apre il percorso con le incisioni tratte da una rara edizione seicentesca del «Compendio della Comedia» (1696) accostate a quella per il frontespizio dell’Inferno di Anselm Roehr (1941-2010), incisore tedesco a lungo residente sul lago di Garda, che restituisce l’incontro tra Dante e Virgilio con una potente sintesi segnica. Accanto, la legnanese Giulia Nelli (1992) propone una riscrittura semantica di un’installazione di reti di collant neri, intrecciati come rovi che diventano a loro volta una selva esistenziale, fragile e inquietante, entro cui muoversi attraversando barriere mentali e materiali.
Migrazioni
Nella seconda sala, il cammino è declinato nel segno della necessità e della forzatura, della fuga e della speranza. Qui duplicati di documenti d’archivio del Regno Lombardo-Veneto raccontano partenze, destini incisi sulla carta, ricostruendo i flussi migratori dell’Ottocento. Scritture di nascita, matrimonio, morte che diventano narrazione collettiva e oggi strumento per ottenere cittadinanza. Una fiasca da pellegrino del XVI secolo, incisa finemente con scene dell’Annunciazione e della Passione di Cristo e una preziosa icona richiudibile ci ricordano quanto la preghiera e la fede fossero presenza costanti in tanti di questi viaggi senza ritorno.
Ma è il presente più dolente, con le fotografie di Carlo Bianchetti (1995), a colpire nel profondo. I suoi scatti ritraggono migranti in attesa di sbarcare o in fila sulla banchina al porto di Roccella Jonica e hanno una compostezza tragica, quasi sacrale. Il tempo qui si curva: il viandante del passato pare fratello del naufrago di oggi, che fugge da guerre, povertà, disperazione.
Cammini
Si passa poi ad altri cammini, silenziosi, interiori, mossi da interrogativi più che da mete da raggiungere. Come quello di Sant’Obizio da Niardo, guerriero bresciano del XII secolo che scelse il pellegrinaggio come via di rinascita spirituale. I testi agiografici esposti raccontano la sua conversione e la partenza verso Lucca per contemplare il Volto Santo. Nelle sue parole, attualissime, il senso di ogni viaggio e la sintesi di tutta questa esposizione: «Cambiare luogo, può cambiare lo stato dell’anima».
A tradurre visivamente questa tensione alla ricerca è la scultrice Rita Siragusa (1973), con una stella polare in ottone, preziosa forma magmatica racchiusa in una teca, in contrasto con un groviglio scultoreo di forze in conflitto. Chiude il percorso un San Giacomo scolpito nel legno all’inizio del Settecento (fino a poco tempo fa erroneamente identificato con San Giuseppe). Il patrono dei pellegrini, che ancora oggi percorrono il Cammino di Santiago per raggiungere la sua tomba, è una figura di grande modernità. Al suo cospetto le comunicazioni vescovili che annunciavano i Giubilei alla comunità bresciana (1725 e 1826): lettere con indicazioni perentorie, di invito al cammino, di incoraggiamento alla fede, di speranza condivisa.
Poesia

Infine, un inedito dittico in gesso di Giovanni Rossi (1996), composto dal calco della mano di suo padre e un altorilievo con due angeli custodi, allude a chi ci accompagna nel nostro andare, anche se non visto, anche quando pensiamo di essere soli. Un’opera di grande poesia, che simbolicamente chiude il cerchio iniziato con Virgilio: ogni viaggio è personale, ma mai del tutto solitario.
In un tempo di disorientamento globale, questa mostra ci rammenta che camminare è insieme atto umano, spirituale, artistico, e, anche nei tempi più bui, può essere un atto di speranza.
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