Emilio Isgrò: «Con il mio libro d’artista invito ad usare l’intelligenza del cuore»

Il 2024 è un anno importante per Emilio Isgrò, artista, scrittore, drammaturgo e poeta che celebra il sessantesimo anniversario della sua prima “cancellatura”, gesto artistico rivoluzionario che lo ha reso noto nel mondo. Tra le varie iniziative che in questi mesi lo vedono protagonista, l’uscita del volume di aforismi «Intelligente ma non troppo» (Morcelliana, 227 pp., 25 euro) a cura di Martina Treu.
Isgrò, lei è siciliano di nascita, milanese per scelta, ma anche un po’ bresciano. I suoi progetti nella nostra città hanno lasciato tracce indelebili.
Io sono un po’ come Ulisse che torna sempre alla sua Itaca. Per me Brescia è diventata nel tempo una città di approdo e insieme di partenza, anche perché grazie a Francesca Bazoli che negli ultimi anni mi ha coinvolto con Brescia Musei nel grande progetto di crescita d’arte e cultura nella città, ho potuto fare cose che non avrei mai fatto e che hanno fatto crescere anche me insieme alla città. In questo momento considero Brescia l’ala militante dell’arte italiana: è una realtà molto forte che ama investire e rischiare sull’arte e sulla cultura. Purtroppo o per fortuna, con i bresciani ci sto benissimo e quando vengo qui mi considero più bresciano che siciliano o milanese: la verità è che qui mi diverto tantissimo.
A Brescia vede la luce il suo ultimo progetto editoriale, un volume particolarmente curato che abbina duecento aforismi a bellissime opere originali. Si può definirlo un libro d’artista?
Possiamo dire che è un libro d’artista ad alta tiratura. Dando una prova di acume culturale l’editrice Morcelliana ha creato le condizioni per concretizzare in breve tempo un progetto tanto complesso, di cui, devo dire, sono particolarmente soddisfatto.
Il volume raccoglie aforismi, inediti o recuperati da fonti scritte o orali, che distillano con sagacia ed ironia la sua coerente visione sull’arte e sulla vita. A cominciare dal titolo: «Intelligente, ma non troppo», il riferimento è al ruolo dell’artista e al fatto che «l’intelligenza conta, ma bisogna imparare a farne a meno»...
Un artista deve in primo luogo farsi guidare dal cuore. Se è troppo intelligente è un artista interessante, ma non vale molto. L’intelligenza diventa sterile quando non è accompagnata da ciò che abbiamo dentro, dalla nostra capacità di amare i nostri simili, di amare chi ci è vicino. Quando agisco come artista io penso anche a chi si rivolgerà al mio lavoro, a cosa avverrà di lui, a ciò che può essere utile per la sua vita. L’artista agisce per se stesso, anche io in parte lo faccio, ma sempre sperando che il pubblico mi somigli.
Lei scrive «L’artista è colui che ha paura e lo dice. E tuttavia non si arrende».
Oggi abbiamo schiere di artisti presentati come superuomini, a me onestamente essere considerato un superuomo darebbe fastidio: essere “mostri” non è un piacere, preferisco chi ha il coraggio di fare entrare nelle proprie paure, nelle proprie fragilità, piuttosto che limitarsi ad adornare il mondo con belle stilizzazioni, con bei quadri, con belle cornici. Ciò naturalmente non significa che l’arte non debba avere un valore estetico, ma che accanto ad esso deve avere altre funzioni.
Infatti sostiene che «il primo impegno dell’arte è discutere in un mondo che urla». Non trova che in questo momento storico il mondo stia urlando troppo?
È vero, siamo in un mondo che alza molto la voce, ma voglio vedere anche l’altro lato della medaglia: c’è tanta gente che è sempre più infastidita da queste urla. E ciò fa sì che si intraveda una luce e si apra uno spiraglio. La visione che l’arte può aprire sulla realtà è in questo senso assai simile a quella che possono avere le religioni. Ho sempre coltivato una propensione al sacro e sono profondamente rispettoso dei grandi valori del vivere umano, tra cui ci sono anche quelli religiosi. L’arte, come la religione, deve arrivare al cuore della realtà e io ho sempre concepito l’arte come una forma di educazione umana.
Lei afferma di saper fare bene una cosa: cancellare il superfluo. Un bilancio di sessant’anni di «cancellatura»?
I bilanci si fanno alla fine, spero di avere ancora tanto altro da fare, da dire e da cancellare. La vita è una semina ad ogni età, continuiamo a seminare per chi viene dopo.
Cosa vorrebbe cancellare oggi?
Forse la gratuità con cui vengono fatte le cose: non bisogna perdere tempo per inseguire piccoli miti, indotti da obiettivi non sempre chiari. Io per natura sono non dico ottimista, perché non nego la realtà, ma fiducioso: viviamo un momento a volte disperante, ma io voglio credere che prevarranno le forze più equilibrate. Si cancella non per distruggere, ma per riflettere, per mettere in salvo e proteggere. E questo è un messaggio di fiducia che va consegnato ai giovani. Recentemente ho insegnato la cancellatura a ottanta bambini delle elementari. Hanno capito subito tutto. Ciò mi suggerisce che a questo punto è bene che i genitori si consiglino con i figli.
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