Desenzano scopre «l’era della libertà» e il mondo consumistico di Andy Warhol
Niente dopo di lui è stato più lo stesso. Ha trasformato i prodotti del supermercato in arte, rappresentando l’America consumistica in cui è cresciuto. Ha utilizzato la tecnica della serigrafia per fare tutto come una macchina fotocopiatrice. Ha ricreato l’effetto della ripetizione mediatica, intorpidendo ogni sentimento. Ha interpretato l’opera d’arte come un prodotto commerciale, un mero scambio di denaro e di futuro profitto: era sufficiente la sua firma. Andy Warhol (Pittsburgh 1928 – New York 1987) è considerato il padre della Pop Art, un’arte non solo per pochi eletti ma per la massa. In realtà l’artista americano è stato molto di più.
«Ha dato inizio all’arte contemporanea per come la intendiamo noi oggi» si sbilancia Matteo Vanzan, curatore della mostra «Andy Warhol. The age of freedom», allestita al castello di Desenzano fino al 22 settembre. «Un mondo che è fatto sicuramente di ricerca artistica, di invenzione, di sperimentazione – chiarisce Vanzan -, ma anche di un business, che porta il nome dell’artista a diventare un marchio, un brand».
Il percorso
Sono 72 le opere di Warhol selezionate per la mostra desenzanese, certificate e provenienti da collezioni private, e suddivise sui due piani del castello, in aree tematiche. Ci sono i disegni, al tempo in cui lavorava come illustratore commerciale, poi i celebri ritratti della serie «Ladies and Gentlemen», realizzati per il mercante d’arte italiano Luciano Anselmino negli anni Settanta, e quelli di Marilyn Monroe. Nella realizzazione del gruppo di opere su carta del 1967 che ritraggono l’attrice, Warhol creò delle rare varianti uniche, una diversa dall’altra. L’opera presente nella seconda sala al primo piano è una di queste.
Altro pezzo unico è la serigrafia dei «Flowers», sempre al primo piano, firmata due volte sul retro e datata 1968: l’unica prodotta con quelle combinazioni di colori.
Iconici sono poi i dollari e
i barattoli di salsa Campbell’s siglati dall’artista, il suo vero atto rivoluzionario, che va oltre il ready-made di duchampiana memoria: il compratore non sta più acquistano un’opera di Andy Warhol, ma «un» Andy Warhol. Sa già che si tratta di arte. E non sta comprando un’opera d’arte, ma ciò che rappresenta, cioè denaro.La lattina esposta al centro della terza sala al piano terra del castello è l’unica di quelle in mostra firmata a mano dall’artista direttamente sulla confezione, e non in serigrafia.
L’esposizione desenzanese prosegue con le litografie dedicate alla musica, tra cui quella di Mick Jagger, la serie dei Myths, i miti del popolo americano tra cui l’artista include se stesso, e le copertine della rivista «Interview», fondata da Warhol nel 1969 insieme al giornalista britannico John Wilcock, che presentava interviste a celebrità, artisti, musicisti e pensatori.
Nell’ultima sala al primo piano campeggiano tre grandi serigrafie raffiguranti la sedia elettrica.
«È la banalizzazione della morte - spiega ancora il curatore -. Warhol utilizza la ripetizione in modo potente, poiché la molteplicità inevitabilmente rende insensibili gli spettatori nei confronti di questo simbolo di morte e punizione».
Sinergia a tempo
Al suo estremo opposto, nell’ultima sala al piano terra, ci sono invece i poster del Sunday B. Morning. Warhol concede i suoi negativi e i codici colore a due amici belgi per produrre le serigrafie e nel 1970 esce una prima edizione di 250 stampe. Warhol in seguito si pente di questa decisione, e vuole interrompere la produzione, ma senza successo. Decide allora di firmare alcune delle prime edizioni, scrivendo «questo non sono io»: un gesto che, ovviamente, è servito solo a rendere quelle copie ancora più preziose.
La mostra «Andy Warhol. The age of freedom» è aperta al pubblico da martedì a domenica (e festivi) dalle 10 alle 18.30. Biglietto intero 10 euro, ridotto 8 euro. Per maggiori informazioni contattare l’Ufficio Cultura allo 030.9994161 o direttamente il castello al 335.6960209.
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