Com'è la mostra «L’inganno ottico» alla Collezione Paolo VI
«Pour Gigetto avec toute mon amitié»: la natura della collezione di Francesco Paci, detto Gigetto, sta racchiusa in queste poche ma eloquenti parole con le quali Joel Stëin ha accompagnato la firma a matita su una delle opere. Il collezionista bresciano di origini palermitane ha recentemente donato il corpus di sessanta opere d’arte cinetica e visuale e la relativa bibliografia composta da volumi anche rarissimi alla Fondazione Opera per l’Educazione Cristiana, allo scopo di esporle nelle sale della Collezione Paolo VI di Concesio.
Prima che vengano inserite nel percorso permanente, tuttavia, il museo ha pensato di esibirle in maniera esclusiva. Ed ecco che il 3 febbraio verrà inaugurata «L’inganno ottico - Opere d’arte cinetica dalla Donazione Paci», a cura della direttrice Marisa Paderni e della conservatrice Anita Franchi. Una «bellissima donazione», l’ha definita semplicemente ma significativamente Paderni durante l’apertura in anteprima di mercoledì, sottolineando la coerenza di una collezione monografica focalizzata su un gruppo di artisti importanti per l’arte contemporanea del secolo scorso, parte di una corrente che fece della percezione visiva, del coinvolgimento dello spettatore e del movimento apparente o reale il proprio cuore. Perché l’arte ottica - che rappresenta nella Collezione Paci l’elemento più cospicuo - è arte cinetica in quanto stimolante il movimento visivo.
Il percorso
La mostra è allestita al piano inferiore della Collezione Paolo VI ed è pensata con un percorso che parte dalle numerose opere del parigino Groupe de Recherche d’Art Visuel, e quindi Horacio Garcia Rossi - una delle cui opere fu la prima a venire acquistata da Paci all’inizio degli anni ’70 -, Julio Le Parc, Joel Stëin, Yvaral e Francisco Sobrino (ma non François Morellet, «più sfuggente», dice Paci). Prosegue con Hugo Demarco, Enrique Ahil e Eduardo Jonquieres, Mario Nigro, Beppe Bonetti e Walter Fusi… E si conclude con alcuni pezzi «estranei» ma più familiari, tra cui un’opera di Guglielmo Achille Cavellini, e un esempio di scultura cinetica (un pezzo di Sobrino).
Beppe Bonetti non è solo artista esposto: è anche il tramite della donazione. È stato lui a indicare a Paci, ex corniciaio di via Gramsci da cui passavano tutti gli artisti con cui poi allacciò rapporti fraterni, la fondazione e il museo. Pierpaolo Camadini, presidente dell’associazione Arte e Spiritualità che gestisce la sede museale, è particolarmente grato a Paci: «Rinnoviamo la gratitudine per quanto disposto dal signor Paci: ha inteso lasciare in una sede la collezione che ha costruito in una vita di relazioni e lavoro. Sottolineo la sua intelligenza: ha visto come Arte e Spiritualità sia una delle poche sedi espositive in grado di valorizzare questa raccolta di una vita».
Giovanni Maria Seccamani Mazzoli, presidente di Fondazione Opera per l’Educazione Cristiana, ha espresso, come Camadini, i ringraziamenti al generoso donatore, sottolineando come il suo possa rappresentare un bel modello: «Brescia nella storia ha perso diverse occasioni per quanto riguarda l’arte contemporanea, ma altre persone potrebbero seguire il suo lungimirante esempio».
La donazione
Paci, dal canto suo, spiega che la decisione è arrivata per «cercare di fare qualcosa per la collettività. Per me è stato un piacere. Disperdere un lavoro, una raccolta di quarant’anni di vita, sarebbe un peccato. Il mio principio è: trasmettere agli altri. Dopo tante ricerche, la Collezione si è rivelata il giusto punto d’appoggio. La mia volontà è anche mantenere vivo il rapporto di questi artisti con Brescia. Prima di girare l’Italia, passavano sempre da qua. Io ero il primo con cui avevano contatto poiché fornivo loro le cornici. E alla fine non era più un rapporto di lavoro: c’erano amicizia, fiducia, stima». In fin dei conti, dunque, «resterà tutto unito proprio qui, a Brescia, territorio a loro caro». Proprio come vuole Gigetto Paci.

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