Arte

APalazzogallery, «una mostra esplosiva» sull’arte africana

Giovanna Galli
La rassegna «Fragments of a World After Its Own Image» sarà in esposizione fino al 15 maggio e riunirà le opere di dodici artisti protagonisti della scena contemporanea ghanese
  • L'esposizione del collettivo ghanese blaxtarlines kumasi a Apalazzogallery
    L'esposizione del collettivo ghanese blaxtarlines kumasi a Apalazzogallery - Ufficio stampa Apalazzogallery
  • L'esposizione del collettivo ghanese blaxtarlines kumasi a Apalazzogallery
    L'esposizione del collettivo ghanese blaxtarlines kumasi a Apalazzogallery - Ufficio stampa Apalazzogallery
  • L'esposizione del collettivo ghanese blaxtarlines kumasi a Apalazzogallery
    L'esposizione del collettivo ghanese blaxtarlines kumasi a Apalazzogallery - Ufficio stampa Apalazzogallery
  • L'esposizione del collettivo ghanese blaxtarlines kumasi a Apalazzogallery
    L'esposizione del collettivo ghanese blaxtarlines kumasi a Apalazzogallery - Ufficio stampa Apalazzogallery
  • L'esposizione del collettivo ghanese blaxtarlines kumasi a Apalazzogallery
    L'esposizione del collettivo ghanese blaxtarlines kumasi a Apalazzogallery - Ufficio stampa Apalazzogallery
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Un’esplosione di energia fatta di colore e calore, natura e umanità, tradizione e progresso, ma anche di interrogativi e risposte sulla storia e il futuro di un mondo in continua trasformazione, riempie i saloni di Apalazzogallery con la mostra «Fragments of a World After Its Own Image» (in piazza Tebaldo Brusato 35 a Brescia, fino al 15 maggio. Maggiori info sul sito di Apalazzogallery). 

La rassegna riunisce opere di dodici artisti protagonisti della scena contemporanea ghanese, molti dei quali parte al collettivo blaxTARLINES KUMASI, di cui l’evento rappresenta il debutto italiano. Curata da Kwasi Ohene-Ayeh, la mostra offre l’opportunità di affacciarsi su un panorama artistico che negli ultimi vent’anni ha conosciuto una notevole espansione, conquistando importanti riconoscimenti nei circuiti internazionali.

Gli artisti coinvolti, di età e percorsi differenti, operano tra il Ghana e l’Europa, anche con interventi che sondano la realtà delle piccole comunità immigrate, ponendo in luce lo spessore dell’incontro tra linguaggi, tradizioni, mitologie.

Due generazioni

Accanto a giovani emergenti come Edward Prah, Ernestina Mansa Doku e Tegene Kunbi, troviamo pionieri come James Barnor, celebre fotoreporter durante gli anni dell’indipendenza ghanese, e Felicia Abban, prima donna fotografa professionista del Paese, nonché ritrattista ufficiale del primo presidente, Kwame Nkrumah. Con loro Dennis Ankamah Addo, Afrane Akwasi Bediako, Isshaq Ismail, Samuel Baah Kortey, Maame Adjoa Ohemeng, Jeffrey Otoo e Naomi Boahemaa Sakyi Jr.

Sono tutti autori che – spiega il curatore Ohene-Ayeh: «non danno per scontati i punti di osservazione e le tecniche che hanno scelto e si impegnano ad andare oltre ciò che le rispettive forme hanno da offrire». Per comprendere a fondo il senso delle loro ricerche, è utile ricordare che il collettivo blaxTARLINES KUMASI, fondato nel 2015 presso il Dipartimento di pittura e scultura della Kwame Nkrumah University di Kumasi, è una piattaforma sperimentale che riunisce artisti, studenti e curatori in pratiche condivise che intendono mettere in discussione i modelli occidentali dell’arte e della curatela, intrecciando ricerca, memoria orale e impegno sociale.

Un laboratorio fluido in cui l’arte si fa processo, relazione, gesto politico. Tra i suoi membri più attivi nel perseguire obiettivi che vanno oltre la didattica e la pedagogia per estendersi alla promozione del dibattito critico e allo sviluppo delle relazioni internazionali in chiave postcoloniale, spicca Ibrahim Mahama, l’artista ghanese più noto a livello mondiale.

I linguaggi

La proposta estetica del Collettivo si articola in una molteplicità di linguaggi – dalla fotografia alla pittura, dalla scultura ai mixed media, dall’installazione al disegno digitale, fino alle tecnologie interattive e agli approcci più sperimentali – tutti ben rappresentati nel coinvolgente percorso espositivo, articolato secondo un’alternanza di analogie e contrasti. Ma è soprattutto nella fusione simbolica delle prospettive individuali che si può intuire il senso profondo della rassegna, che propone un percorso condiviso in cui all’arte viene attribuita una funzione universale e inclusiva.

Un’arte libera, o forse sarebbe meglio dire liberata, dalle sovrastrutture di un’impostazione tradizionale fondata sul canone occidentale delle Belle Arti, e orientata piuttosto a una visione egualitaria, in cui si configura come spazio di molteplicità e come dono, più che come merce.

Se il titolo scelto per l’evento rimanda criticamente ai passaggi del Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels che si riferiscono al sistema di mercato globalizzato come a un costrutto dell’egemonia borghese per «creare un mondo a propria immagine», l’esposizione si configura come un potente invito a ripensare il ruolo dell’arte, di chi la pratica, ma anche di chi ne fruisce, in un’epoca che necessita più che mai di una «decolonizzazione» del pensiero e della creatività per immaginare e costruire un futuro migliore.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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