Animali parlanti ci interrogano fra sguardi reali e visioni virtuali

La rassegna di mostre «Meccaniche della meraviglia» quest’anno è particolarmente immersiva, scenografica, esteticamente accattivante. Lo è a partire dalle esposizioni che sono state inaugurate un paio di settimane fa, e su tutte «Il Processo» di Giuliana Cunéaz, che grazie alla realtà virtuale permette di guardare il mondo animale con occhi nuovi, facendosi guardare a propria volta da quel mondo animale preso in prestito dal reparto di zoologia tassidermizzata del Museo di Scienze Naturali di Brescia.
È proprio qui, in via Ozanam, che si trova la mostra curata da Ilaria Bignotti, Camilla Remondina e Melania Massaro (conservatrice della collezione zoologica), visibile fino al 7 settembre. L’artista ha preso in prestito 90 animali tassidermizzati e con la virtual reality ha creato un’installazione tra il reale e il virtuale, con ritratti al pubblico che vengono di volta in volta generati a seconda del punto di vista dell’animale che si sta osservando.
«Fabula Docet»
Sabato pomeriggio sono state quindi inaugurate le altre due mostre cittadine della seconda parte di questa edizione di Meccaniche, che come di consueto vede la direzione artistica del suo creatore Albano Morandi. Prevista inizialmente a Mo.Ca e poi trasferita all’Ateneo di Brescia in via Tosio - dove sarà visitabile fino al 28 luglio - la prima si intitola «Fabula Docet». Il collettivo torinese The BouncyKillArt non avrebbe potuto trovare luogo migliore in cui collocare le sue statue neoclassicamente contemporanee: si confondono con gli artefatti già presenti nelle antiche stanze della storica accademia di «Scienze, Lettere e Arti» e costringono visitatori e visitatrici a osservare da vicino le opere per riconoscerle. A suggerire che si tratti proprio dei lavori del collettivo sono dettagli più o meno appariscenti: lo stemma araldico dedicato al delivery, la Venere del mocio, il cellulare… Attraverso la bellezza tradizionale il collettivo vuole riflettere sulle storture dell’oggi. «Il duo si ispira all’arte classica e rinascimentale», ha spiegato una delle curatrici, Beatrice Zanello (che ha lavorato con Alessia Ravizza), «reinterprendola e ironizzando sui problemi attraverso i riferimenti alla cultura pop. Le opere riecheggiano la classicità, ma vogliono anche veicolare messaggi». Come il manifesto femminista impresso su una delle prime statue, o come la denuncia alla maleducazione ben visibile nel monumento equestre al pianterreno.
«Intrecci»

Accanto a quello di «Fabula Docet» è avvenuto anche il vernissage di «Intrecci» negli incantevoli spazi di Palazzo Averoldi tra via Moretto e Contrada Santa Croce. Qui protagonista è lo scultore bolognese Antonio Violetta, classe 1953. A cura di Elena Scuri, la mostra propone opere passate - dagli anni Ottanta - accanto a lavori più recenti - del 2022 - per mostrare la ciclicità di Violetta, «che non si ferma a una serie», ha chiarito Scuri. Fino al 28 luglio si potranno dunque ammirare numerosi artefatti tendenzialmente in argilla, materiale grezzo, povero e legato alla terra, per arrivare a un’opera che è emblema della mostra. In una stanza la «pagina dorata» di Violetta unisce la sua ricerca passata sulle pagine (metafora della vita) a quella presente, dal momento che la pagina esposta è un unicum del 2020, realizzata in lamina d’oro anziché in argilla. «Violetta rappresenta qui la luce che cambia e fluttua: l’opera cambia continuamente a contatto con i raggi che riceve. Riflette la luce e non la assorbe, cangiando durante il giorno». Suggestiva è anche la sala delle «teste» (oltre alla grande installazione iniziale), con quattro capi scolpiti a rappresentare Polifemo, Palinuro, la Luna e una Testa Notturna.
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