Cultura

Anna Braghini: «Per Vantini il gusto del bello si trovava nella poesia»

L’autrice ha ricostruito in un volume la biblioteca e gli aspetti privati dell’architetto che disegnò la Brescia dell’Ottocento
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La biblioteca di Rodolfo Vantini
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Un Rodolfo Vantini per certi versi inedito, orgogliosamente consapevole del ruolo sociale dell’architetto quanto puntiglioso nel reclamare le proprie parcelle; generosamente impegnato nel campo educativo quanto restio ad accollarsi l’insegnamento alla scuola elementare, troppo sfibrante per la sua salute; uomo di scienza ma anche di mondo, come documentano nei suoi taccuini le spese sostenute per i regali alle amanti, trascritte con un codice crittografico per mantenere la privacy personale. È la figura che esce dalle pagine del ricco volume di Anna Braghini «La biblioteca di Rodolfo Vantini. Vita, passioni e attività di un libero professionista» (ed. Torre d’Ercole, 2024).

Protagonista del rinnovamento culturale, architettonico e urbanistico cittadino nella prima metà dell’Ottocento, Vantini (Brescia, 1792-1856) progettò importanti edifici e monumenti (il cimitero, Palazzo Tosio, la Tomba del cane...), partecipò agli scavi archeologici del Capitolium e fu socio dell’Ateneo.

Abbiamo chiesto all’autrice di anticipare alcuni contenuti dell’incontro.

Anna Braghini, com’è nata l’idea di questo volume?

A Vantini avevo dedicato la mia tesi di laurea in Architettura. L’occasione, a tanti anni di distanza, è stata la malattia di mio padre. Stavo molto in casa e ho approfittato per riprendere lo studio, che è stato per me anche una cura in un momento difficile. Il lavoro è andato avanti quasi una decina d’anni, consultando testi e documenti della Queriniana, dell’Archivio di Stato e dell’Archivio giunto per via ereditaria al dott. Antonio Spada.

Il volume è intitolato alla Biblioteca di Vantini, ma all’interno c’è molto di più…

Il primo obiettivo era ricostruire la raccolta di volumi che Vantini aveva nella sua biblioteca, donati dagli eredi nel 1862 alla Queriniana. Sono partita dall’elenco stilato al momento dell’ingresso, e incrociando dati e documenti sono riuscita a ricostruire una biblioteca di 882 volumi. Quelli che ho trovato li ho fatti passare pagina per pagina e schedati dettagliatamente, facendo anche qualche scoperta.

Ad esempio?

Ad esempio, che alcuni volumi non ci sono più. O perché venduti dalla Queriniana in quanto titoli doppi, o perché sono fuori posto e purtroppo, da quando il catalogo è stato informatizzato, non sono più reperibili. Ho trovato postille interessanti, come quella apposta da Ugo Foscolo («di sua mano» annota in pagina lo stesso Vantini) su una copia della sua «Lettera a monsieur Guillon sulla sua incompetenza a giudicare i poeti». Bello immaginare Foscolo che va a casa di Vantini, sfila dalla libreria un suo libro e lo corregge… Purtroppo in questo lavoro ho anche toccato con mano la difficoltà degli studiosi a consultare testi in biblioteca: orari ridotti, parte delle collezioni inagibili, come quelle sul palchetto del salone. C’è molto da fare…

Cosa c’era nella biblioteca di Vantini?

Curiosamente, più di un quarto delle opere sono di letteratura, e solo il 17% sono testi «tecnici» di arte, architettura, archeologia. Ma evidentemente Vantini riteneva che il gusto del bello si prendesse dalla poesia e dalla letteratura, dagli studi classici. Una convinzione che credo sia valida anche ai nostri giorni.

Nel volume una sezione è dedicata agli «appunti per una biografia» dell’architetto. Che Vantini esce dalle sue ricerche?

Tra tanti spunti mi sono concentrata in particolare sul Vantini docente e sul suo lavoro per la parrocchiale di Gargnano. L’architetto crede molto nell’insegnamento, e nel 1813 ottiene la cattedra di Disegno al liceo. Poi però il suo atteggiamento cambia quando nel 1825, con la riforma scolastica, viene chiamato a insegnare in quelle che oggi sarebbero le scuole medie. Nelle sue lettere alle istituzioni scolastiche – le conosciamo perché teneva la minuta di tutta la corrispondenza – fa di tutto per essere esonerato, anche trovando un supplente a sue spese. Addirittura, sempre nelle minute c’è il testo inviato al suo medico, Bonizzardi, da trascrivere sul certificato di malattia.

E la chiesa di Gargnano?

L’ingegnere incaricato, il comasco Antonio Lena Perpenti, si era visto bocciare il progetto per la chiesa di San Martino, ed è egli stesso a suggerire il nome del bresciano, una archistar a cui non si poteva dire di no. Vantini eredita un progetto e un cantiere in cui era coinvolta gran parte della popolazione di Gargnano. I fabbricieri gli inviano cassette di limoni. Ma lui sollecita le parcelle…

Era legato ai soldi?

In realtà no. In un’altra occasione, offeso dal trattamento maleducato di un suo cliente, rifiuta la parcella e la fa devolvere in beneficenza. E in vita sostenne personalmente scuole infantili e tecniche, e fondò a sue spese la scuola che a Rezzato porta il suo nome.

Nel volume fa cenno anche ai suoi taccuini. Di cosa si tratta?

Quadernini personali, in cui annotava con dovizia di particolari spese, nomi, stati d’animo, ricordi, anche utilizzando un codice crittografato. Me n’ero occupata al tempo della tesi, riuscendo a decifrarlo. Sono appunti privati, in qualche caso intimi. Non ho ritenuto opportuno pubblicarne la trascrizione, lo riterrei una sorta di violazione della sua volontà: quindi mi sono limitata a indicare le lettere dell’alfabeto corrispondenti alla sua scrittura segreta. Chi vorrà leggere i taccuini ha il codice a disposizione. 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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