Cultura

Andy Warhol e le sue iconiche ragazze, nel libro di Nadia Busato

La scrittrice bresciana in «Factory Girl» narra quelle giovani fragili, che furono muse dell’artista
La scrittrice bresciana Nadia Busato
La scrittrice bresciana Nadia Busato
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Tra il 1962 e il 1968 lo studio di Andy Warhol, in un palazzo newyorkese al 231 East 47th Street, fu l’anima di una vera e propria rivoluzione artistica. Era la «factory», ammantata di un’aura leggendaria, il cui solo nome evoca quel senso di libertà e trasgressione cucito addosso a tutti i personaggi che vi ruotavano attorno.

Ma chi erano le «factory girl», le tante ragazze fragili, tormentate, afflitte da problemi psichici, icone d’una bellezza spesso non convenzionale, che il genio della pop art elesse a sue muse? A tirarle fuori dal cono d’ombra in cui le ha relegate il poco generoso narcisismo e la sovraesposizione della personalità di Warhol è la scrittrice bresciana Nadia Busato, già autrice del fortunato «Non sarò mai la brava moglie di nessuno», che da dopodomani, giovedì, sarà di nuovo in libreria col suo ultimo lavoro «Factory Girl» (Sem, 300 pagine, 18 euro).

Signora Busato, chi erano le «factory girl»?

I nomi li fa nella sua biografia Ultra Violet, voce narrante del libro, descrivendole più o meno nell’ordine con cui ognuna di loro arriva nella Factory e diventa una delle «warholettes», come venivano definite dalla stampa in modo sarcastico-dispregiativo. Erano per lo più ragazze che provenivano dalla borghesia capitalistica americana: Brigid Berlin, per citarne una, era figlia di Richard E. Berlin, proprietario dell’impero editoriale Hearst. Tutte erano figlie di famiglie patriarcali, che avevano stabilito per loro un destino da debuttanti in società e cacciatrici di buoni partiti da sposare. Molte di loro erano state abusate dai genitori.

Che cosa accomuna queste donne che decisero di entrare nella «factory»?

Tutte erano ragazze ribelli, che rifiutavano il disegno tracciato per loro «in quanto donne»; affamate d’amore, che scappavano da famiglie opprimenti, in cerca di se stesse e di una felicità individuale. Erano abituate fin da piccole ad assumere droghe: in quegli anni le anfetamine venivano prescritte soprattutto alle mogli e alle figlie fin dalla pre-adolescenza per "essere in forma", energiche e di buon umore. E quelle più ribelli venivano rinchiuse in ospedali psichiatrici, come Edie Sedgwick, che venne sottoposta ad elettroshock più volte, anche quando era ricoverata per anoressia. Qualche volta, finivano per essere lobotomizzate: emblematica è la storia di Rose Marie Kennedy, sorella di John Fitzgerald, portatrice di un ritardo mentale che la rendeva a volte imprevedibile nei comportamenti e che venne lobotomizzata per ordine del padre a 23 anni, temendo che si lasciasse andare ad una eccessiva e indecente promiscuità sessuale a causa della sua bellezza.

Come si è documentata?

Ho intervistato John Giorno, che è stato compagno di Andy Warhol. Il resto è frutto di una ricerca su libri, sceneggiature, articoli, saggi, molti dei quali fuori catalogo. Alcuni testi, soprattutto quelli relativi ai femminismi radicali anni ’60, mi sono stati consigliati da ricercatrici, esperte e docenti, che ringrazio alla fine del libro. Avevo anche preparato una bibliografia selettiva, ma era troppo lunga da inserire alla fine e, come dice il mio editore: diamo per scontato che tu sia una secchiona e che ti sia documentata nei minimi particolari!

La «factory», a dispetto della sua reputazione, si rivelò una «gabbia» per queste giovani. Quale fu il ruolo del loro pigmalione?

Andy Warhol era di umili origini, veniva da una storia difficile e da un’adolescenza passata a letto con disturbi forse psicosomatici. Si circonda di riviste con le star più iconiche, è incantato dal mito di Hollywood costruito su un’immagine femminile di fragilità (Marilyn Monroe ne è il simbolo) e tormentato dall’idea di entrare a far parte di questo «olimpo». Quando realizza il suo spazio, riesce nell’operazione di trasformare la figura dell’artista in un imprenditore che ha un rapporto stretto col mercato e il cui scopo è produrre opere efficaci a livello di comunicazione e marketing. È una delle eredità più forti che ci ha lasciato. E la svolta, nella sua carriera, avviene proprio quando arrivano le ragazze.

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