Cultura

Andy Warhol e il sacro, un rapporto intenso e quasi sconosciuto

Josè Carlos Diaz, Chief Curator all'Andy Warhol Museum di Pittsburgh, parla di un aspetto inedito dell’artista americano
Una delle variazioni di Andy Warhol su «L’ultima cena» di Leonardo
Una delle variazioni di Andy Warhol su «L’ultima cena» di Leonardo
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Di fronte al mondo intero recitò un copione fatto di apparenza, ossessione per la fama e glamour; la sua Factory radunò un entourage di personaggi che fecero di provocazione e vite al limite un marchio di fabbrica; delineò un ritratto smaccato dell’America del boom economico portando all’ennesima potenza i concetti di consumismo, voyerismo e capitalismo.

Eppure il padre della Pop art statunitense Andy Warhol fu anche un uomo religioso, teneva un libro di preghiere e un crocifisso accanto al letto, immagini sacre alle pareti. John Richardson - già amico e biografo di Pablo Picasso - durante il funerale dell’artista parlò di «un aspetto che Andy nascondeva a tutti tranne che agli amici stretti: non perse l’abitudine di andare a messa, frequentò la chiesa St. Vincent Ferrer più volte alla settimana fino a poco prima di morire, finanziò la formazione di suo nipote al sacerdozio, aiutava in una mensa per poveri e senzatetto».

Di questo aspetto, tutt’altro che marginale ma inedito, abbiamo parlato con Josè Carlos Diaz, che all’Andy Warhol Museum di Pittsburgh, di cui è stato Chief Curator, ha curato una mostra sul rapporto tra sacro e produzione di uno degli artisti più prolifici e influenti al mondo («Revelation», nel 2020).

Un’altra delle variazioni d’artista sul capolavoro di Leonardo
Un’altra delle variazioni d’artista sul capolavoro di Leonardo

Diaz, qual era il rapporto di Warhol con la fede? Come la spiritualità influenzò il suo percorso?

Warhol nacque in America da una famiglia d’immigrati dell’est Europa, di fede cattolica bizantina. Cresciuto a Pittsburgh, ebbe un’educazione molto religiosa anche grazie alla madre che, dopo la morte del padre, si trasferì con lui a New York per 20 anni. Con lei recitava le preghiere ogni mattina. Oggi una nuova ricerca sulla sua vita privata ha aperto ulteriori scenari di comprensione dell’artista e della sua produzione.

Tra i lavori con soggetto sacro spiccano le oltre 100 varianti de «L’ultima cena» leonardesca, icona di un’icona, declinata in vari formati e colori. Altro?

«The last supper» è significativa anche in quanto sua ultima serie: Warhol morì poco dopo averla esposta. Tuttavia, già dagli anni Cinquanta l’effige della Madonna si ritrova in alcuni suoi lavori commerciali e, negli anni Ottanta, nella serie fotografica di «Madonne moderne» oltre che nella tela ispirata alla "Madonna Sistina" di Raffaello. Reinterpreta l’Annunciazione di Leonardo, ed elementi tipici dell’iconografia sacra come croci, uova di Pasqua e teschi. Anche alcuni suoi film avevano sfumature religiose: penso a «Imitation of Christ» e «The Chelsea Girls».

C’è un collegamento tra le icone bizantine e quelle postmoderne - le Liz, le Marilyn, le Campbell’s Soup - che hanno reso noto Warhol?

Assolutamente. Warhol fu tra coloro che meglio compresero l’enorme potere di immagini e simboli. Ripetizione e figurazione si trovano tanto nell’immaginario cattolico bizantino, quanto nelle serigrafie su tela di Warhol.

Gli studi da lei condotti hanno portato all’emersione di esiti inediti.

Un esempio è l’opera cinematografica commissionata a Warhol dalla Chiesa cattolica, incompiuta per ragioni sconosciute. È una delle sue opere più contemplative: un film sul tramonto. In generale riferimenti alla religione si possono scorgere nell’intera carriera dell’artista. Nell’immaginario collettivo, spesso, l’arte del XX secolo pare in antitesi o scollegata rispetto all’ambito sacro... Da un’attenta lettura dei diari di Warhol e della sua biografia, emerge la complessità di questo artista. Il pubblico è libero di concentrarsi sugli aspetti più laici..., ma io penso che il suo sia stato un lavoro sacro per un mondo secolare.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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