L’altra metà della corsa al cielo: sherpa e scalatori «dimenticati»

In silenzio, pienamente dentro ma pubblicamente dietro la storia delle grandi conquiste alpinistiche sulle montagne più alte del pianeta. Per troppo tempo, diversi decenni, la storiografia ufficiale ha diffuso cronache di successo mettendo in secondo piano, e talvolta tacendo, il contributo essenziale apportato dagli scalatori nepalesi, tibetani e pakistani.
In queste settimane il tema della sfida agli ottomila ha trovato spazio nelle pagine di cronaca soprattutto per il tragico esito di alcune spedizioni, che hanno visto tra le vittime anche scalatori italiani. Lutti che raccontano l’altra faccia della medaglia, rispetto ai tanti successi raccolti da chi fa di questa sfida una sorta di ragione di vita. Nell’uno e nell’altro caso, tuttavia, spesso si dimentica il ruolo degli scalatori locali nel corso di storiche salite.
Nel suo libro uscito la scorsa estate, dall’inequivocabile titolo «Eroi silenziosi» (Mulatero Editore, 288 pp., 25 euro) la pluripremiata scrittrice canadese Bernadette McDonald, già direttrice del prestigioso Banff Mountain Film Festival, ha inteso restituire alla storia, collocandoli nel posto che meritano, gli alpinisti sherpa, balti, ladakhi, hunza, astori, magar, bhotia, rai e gurung, in un racconto denso e ottimamente documentato.
Il passato
Alcune delle storiche salite alpinistiche sul colossi della terra intesero dare spazio a nazionalismi nascenti. Nel 1933, quando Hitler divenne cancelliere, designò un commissario sportivo per promuovere le prestazioni atletiche del popolo tedesco. Una delle discipline favorite era proprio la pratica alpinistica, e non c’era spazio per raccontare nelle spedizioni di altri protagonisti, oltre a quelli designati.
I francesi Maurice Herzog e Louis Lachenal furono i primi uomini a calpestare la vetta di un ottomila raggiungendo la cima dell’Annapurna nel 1950. Tuttavia quanti conoscono Ang Tharkay, lo sherpa che si fece carico del trasporto di Herzog per diversi chilometri, nonostante il grave congelamento che lo aveva colto?
Tre anni più tardi, nel 1953, avvenne la celebre prima salita dell’Everest ad opera di Hillary e Tenzing. Scrive l’autrice: «uno dei timori che il nepalese Tenzing Norgay nutriva nell’unirsi agli inglesi era che questi imponessero la loro rigida gerarchia. E aveva ragione. Arrivati all’ambasciata inglese a Kathmandu, questi alloggiarono all’interno dell’edificio, mentre gli sherpa vennero relegati nel garage, una ex stalla senza servizi igienici».
Il presente
La narrazione si spinge in maniera appassionata fino a raggiungere gli anni attuali ripercorrendo le vicende cruciali e anche drammatiche delle spedizioni.
Nel corso di questo ventunesimo secolo gli scalatori locali stanno infatti conquistando il centro della scena, come dimostra la prima salita del K2 nella stagione invernale avvenuta nel 2021 ad opera di una squadra di scalatori nepalesi, che hanno intonato assieme l’inno nazionale lungo gli ultimi passi che li separavano dalla cima.

Decine sono le storie di alpinisti locali riportate in questo libro, per scrivere le quali l’autrice ha potuto attingere anche a documenti inediti. Una rivoluzione culturale che merita di essere condivisa in una piacevole e interessante lettura.
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