Cultura

Al Vittoriale Mason ridà lustro alla produzione «rosa» meno nota

Emozioni per 2mila con l’ex batterista dei Pink Floyd, estasiato dal Vittoriale
  • Nick Mason al Vittoriale di Gardone Riviera
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AA

Vibrazioni psichedeliche, suggestive cavalcate prog, emozioni vere: le hanno vissute i quasi 2.000 spettatori che hanno riempito il Vittoriale per Nick Mason’s Saucerful of Secrets. L’altra faccia dei Pink Floyd, nello sguardo serafico del 79enne metronomo Nick Mason, sono in particolare (ma non solo) i prodromi di un mito mai tramontato. I lavori di fine anni ’60 della band britannica - sovente sacrificati dal vivo al resto di una magnifica discografia - sono infatti al centro di un progetto nato quasi alla chetichella e che invece da ormai cinque anni recupera la bellezza magicamente senza tempo di opere che hanno cambiato il rock. En passant rende omaggio al genio folle e indimenticabile di Syd Barrett (che si autoemarginò dal gruppo dopo due soli dischi), mentre celebra con vezzo vintage ma senza nostalgia un’intera epoca, attraverso un live magistralmente concepito e affinato di set in set, suonato con classe da strumentisti di ottimo livello (Gary Kemp di Spandau Ballet; lo storico collaboratore dei Floyd stessi, Guy Pratt; Leo Harris e Dom Beken).

L’inizio è trionfale, sebbene non strettamente degli esordi: d’altronde «One of These Days» (da «Meddle», del 1971) è un brano metafisico in cui la batteria di Mason gioca un ruolo dominante, forse più che in tutto il resto della produzione, e risulta dunque un tributo che, per una volta, l’altrimenti modesto Nick regala (anche) a se stesso. «È sempre bellissimo tornare in Italia, ma questo è forse il posto più bello in assoluto» dice un ammirato Mason, prima di attaccare con «Arnold Layne», quasi un pettegolezzo di quartiere su un personaggio bizzarro, che poi è il singolo da cui ebbe inizio l’avventura dei Pink Floyd nel segno di Barrett; protagonista anche di «Vegetable Man», che ne è un allucinato autoritratto («Cerco un po’ ovunque un posto per me/ma non esiste, semplicemente non esiste»), e «che è rimasta incompleta e inedita fino a pochi anni fa», ricorda ancora Mason. In mezzo, la coralità di «Fearless» (essa pure da «Meddle») e l’accoppiata da «Obscured By Clouds», title-track e «When You’re In». Arriva poi un estratto davvero memorabile da «Atom Heart Mother», con la dolcezza lisergica di «If» che, ripresa due volte, avvolge come una coperta il pathos impetuoso della title-track (accorciata per l’occasione) del capolavoro datato ‘70. Il rock battente e cantilenato di «Remember a Day» precede lo space-rock cupamente ieratico di «Set the Controls For the Heart of the Sun»: sono entrambi pezzi di «Saucerful of Secrets» (1968), Lp arcano che evidenzia, una volta di più, come agli albori i Pink Floyd confezionassero anche testi corposi.

La seconda parte dello show mette in fila le atmosfere galattiche di «Astronomy Domine» e «Lucifer Sam», da «The Piper at the Gates of Dawn» (1967), splendido e stravagante album d’esordio della band. Ma anche l’immaginifica «Childhood’s End» e l’onirica «See Emily Play», l’incredibile crescendo di «Echoes», le fantasiose «A Saucerful of Secrets» e «Bike». Finale sontuoso per l’edizione ’23 di «Tener-a-mente». 

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