Al Carme «China Now», l’arte che aiuta a decifrare la Cina contemporanea
L’arte? Uno strumento di conoscenza sociale, oltre linguaggi e barriere. E se l’oggetto della curiosità è un Paese vasto e complesso come la Cina, a maggior ragione l’arte può aiutare a gettare uno sguardo di (possibile) interpretazione.
Ne è convinto lo svizzero Uli Sigg, che da imprenditore e collezionista, fin dal 1979, agli albori della politica di apertura di Deng Xiaoping, varcò i confini della Repubblica Popolare. Per fare affari, certo, ma anche per capire. E l’arte fu tra gli strumenti a sua disposizione. Dalla sua collezione - la prima e più ampia in occidente - una ventina di opere sono esposte a Brescia, nella sala dei Santi Filippo e Giacomo in via Battaglie 61, nella mostra «China Now», fino al 3 settembre a cura di Carme e Bellearti (mar-ven 15-19, sab-dom 10-19, ad ingresso libero).
Un’occasione di conoscenza e di apertura per la città - hanno sottolineato in maniera concorde ieri all’inaugurazione lo stesso Sigg accanto a Massimo Minini, gallerista e patron di Bellearti, con la sindaca Laura Castelletti - e uno strumento per provare a comprendere le dinamiche che muovono la superpotenza d’Oriente, e i caratteri di una cultura da sempre in rapporto dialettico con il mondo occidentale. «Ho selezionato le opere - spiega Sigg a margine dell’inaugurazione - cercando di dare una rappresentazione più ampia possibile del panorama dell’arte contemporanea in Cina, tra video e installazioni, dipinti a olio e a inchiostro».
Complessità
Arte contemporanea che si affacciò in Occidente nel 1999 alla Biennale di Venezia curata da Harald Szeemann, ma che già da un paio di decenni aveva preso le mosse in Cina dopo la morte di Mao e l’apertura di Deng. E che Sigg intercettò. «È un’arte molto viva, molto varia - aggiunge il collezionista - fondata su una grande abilità tecnica data dall’educazione artistica tradizionale. Un’arte che mostra il proprio orgoglio e la propria forza, anche in rapporto a quella occidentale. Guardi quelle opere («Westward» e «Eastward» di Wei Liu, del 2010, ndr), sono due paesaggi praticamente uguali, ma lo sguardo verso Est è un sole che sorge, quello a Ovest è un tramonto, un declino...».
E il percorso espositivo, come l’agile catalogo che raccoglie testi di esperti e curatori d’arte (Maurizio Bortolotti, Bernard Fibicher, Demetrio Paparoni, Massimo Minini e Didi Bozzini) sottolinea il carattere di ambivalenza di un’arte che non ha conosciuto storicamente la frattura delle avanguardie, e che lavora sulle dicotomie. In bilico tra passato e futuro, oriente e occidente, figurazione e astrazione, boom economico e disuguaglianza sociale, orgoglio nazionale e censura.
Le opere
Così Ai Weiwei - il più famoso tra gli autori in mostra - in «Table with three legs» (2005) destruttura un tavolino della dinastia Qing per traghettare l’artigianato tradizionale, che fa gola agli antiquari, in una dimensione puramente estetica. I grandi pannelli rosso, blu e oro (i colori dell’imperatore) di Wei Tian mimano calligrafie orientali ma in realtà riportano i mantra della società occidentale (Money, Form, Info e Sex). Changwei Gu ingrandisce all’estremo la foto di una banconota da 100 Yuan fino a trasformarla nell’immagine di un paesaggio astratto, e Shan Jin espone una finestra gotica stampata nella plastica, simbolo di una (in)civiltà che banalizza la bellezza.
I grandi oli in cornici dorate di MadeIn Company, che riproducono i giacigli dei derelitti, e il pianoforte in schiuma di Xiangyu He smascherano il vuoto dietro l’apparenza; e le 120 tonnellate di Coca Cola trasformate sempre da Xiangyu He in scorie nere non hanno bisogno di spiegazioni. La cascata di parole nella videoinstallazione di Kin-Wah Tsang («The second seal», 2009), le figure silenziose di Ke Ma, gli inchiostri quasi trasparenti di Fan Shao (nel Tao il coniglio è simbolo di immortalità) parlano di una ricerca di introspezione e spiritualità.
Cosa ci racconta quest’arte? «La Cina è molto sicura di sé - conclude Sigg - e sta lavorando per contendere la preminenza agli Stati Uniti». Economica ed artistica, verrebbe da dire. Cosa ci resta? Forse, come fa Gabriele Di Matteo nelle sue repliche in bianco e nero di opere di autori cinesi, toccherà a noi accodarci.
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