Cultura

Vasco sta bene, sta male, sta benissimo

L'ultimo tour ha mostrato Vasco Rossi di nuovo in forma: si è ripreso San Siro
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«Be’ dai sono le undici e mezza, manco è tardi, per l’una me ne sto bello a casa». Non vanno per forza tutti a letto la mattina presto con il mal di testa i fan di Vasco. Magari le code attorno a San Siro ne rallentano il ritorno a casa, ma sanno godersi le virtù della vita morigerata. E si scambiano, all’uscita dallo stadio dopo il quarto concerto milanese, considerazioni equamente divise tra la scaletta («Ha fatto pochi pezzi da Il mondo che vorrei», dice uno mentre il fan più di vecchia data pensa «E da Cosa succede in città, allora?») e le condizioni fisiche del Komandante, manco fosse la punta che deve segnare in finale o la zia appena uscita dal ricovero.
 
 «Stava benissimo» è il parere unanime di giovedì sera ed è normale tutta questa apprensione: nel giugno 2011 a San Siro c’è uno show non del tutto centrato («Che fatica!», ammette dal palco), con pure un interminabile numero di un funambolo che attraversava lo stadio. «Sta male», si dice. Poi ci sono l’infortunio, il periodo in ospedale, l’anno di sostanziale lontananza dai palchi, il malore durante il concerto e un grande punto di domanda sulla salute del Blasco. 
 
Arriva il 2013. Tra Torino e Bologna si vedono sette concerti (quasi venti milioni di incassi) che iniziano ad allontanare le preoccupazioni. Ritorna l’energia. «Sta bene», si dice. Ad un certo punto a Torino si confonde durante Ogni volta ed è lui stesso il primo a stupirsene (e ad arrossire), la band sembra abbracciarlo sul palco sostenendolo con la musica, gli concede lunghi momenti per rifiatare, ma Vasco c’è.
 
Ed ora, nel 2014, si è ripreso sul serio e si è ripreso San Siro. Si è passati allo «Sta benissimo». L’anno prossimo ne vuole fare cinque, di serate milanesi, intanto ne ha piazzate ancora una volta quattro a cui si aggiungono le tre di Roma. Canta, e si sente. Balla, quando serve. Si inchina, fissa con gli occhioni dai maxischermi, chiede il solito unico piacere alla fine di Rewind. Rassicurati sulla tenuta fisica, presa confidenza con la testa rasata di recente, tra i fan non c’è discussione alcuna sulla resa musicale. Il concerto è travolgente, con la scaletta qui sotto a far urlare, saltare, cantare e abbracciare i gli oltre sessantamila della Scala del calcio diventata di nuovo Scala del rock. Anzi, del metal, come piace ribadire a Vasco.
 
Gli spari sopra
…Muoviti!
Qui si fa la storia
La fine del millennio
Vivere
Cambiamenti
La strega (la diva del sabato sera)
Come stai
Manifesto futurista della nuova umanità
Interludio
Dannate nuvole
Vivere non è facile
Sballi ravvicinati del terzo tipo
C’è chi dice no
Stupendo
Un senso
Medley: Cosa vuoi da me – Gioca con me – Delusa – Mi si escludeva – Asilo Republic
Rewind
Siamo soli
Liberi… liberi
 
Bis:
Senza parole
Sally
Siamo solo noi
Vita spericolata
Albachiara
 
Si diceva del metal. I metallari sono a loro modo gli ultimi veri romantici, fedelissimi ad un credo musicale minoritario. E Vasco, da nostalgico dei nostalgici, da romantico che fa il duro e poi si strugge per un passato che non torna, un presente inafferrabile e un futuro che non soddisferà mai le attese, ha scelto per questa tournée un assetto più duro, che lui chiama metal, e che si fonda sull’innesto alla batteria di Will Hunt (Evanescence, tra gli altri), tutto muscoli, chioma bionda, doppia cassa, pestate potenti e veloci quando serve. Di nuovo c’è anche Vince Pastano, chitarra ritmica al posto di Solieri. In generale, tutta la band del Blasco si adatta al nuovo spirito metallaro. Sono i soliti: Il Gallo Golinelli al basso, Stef Burns chitarrista solista; Alberto Rocchetti alle tastiere; Frank Nemola a programmazione, fiati e trombe; Cucchia al sax e Clara Moroni ai cori. Stavolta, nell’interludio che fa riposare Vasco mentre i fan si tranquillizzano tra puntate al bagno, al bar e occhiate agli smartphone, non compare un funambolo ma, dopo una prima parte più riflessiva, si incendiano riffettoni e assoli rock.
 
Vasco motivatore: il finale del concerto è tutto un credete in voi stessi. Lo dice l’argenteo Diego Gu Spagnoli dopo aver presentato i musicisti con Siamo solo noi, lo ribadisce il Kom con Albachiara: «Bisogna tenere duro! Sempre! Ce la farete tutti!». Brividi, coriandoloni e fuochi d’artificio.
 
Altre annotazioni: gli striscioni sugli spalti sono pochissimi; le lucine di flash e schermi dei telefonini vincono qualsiasi buio; gli sconvolti ci sono sempre, ma le famiglie sembrano in costante aumento; terzo anello, ma perché?; nonostante i bellissimi tempi andati offrano molto, c’è tanta gente affezionata anche al repertorio più recente di Vasco; le auto incolonnate dopo il concerto servono a vendicare a squarciagola le canzoni escluse dal concerto («Ridammi la radio!»); l'energia resta addosso per almeno un paio di giorni. E Vasco? Vuol davvero fare cinque sold out l’anno prossimo a San Siro? Quanti altri record vuol stabilire? Immaginatelo in un teatro, il Komandante. A reinventarsi completamente. Alla Scala vera, non più alla Scala del calcio.
 
Possibile? Nel frattempo, è chiaro che le dimissioni da rock star sono finite dietro gli amplificatori. E che il corpo stanco del rocker, come lo raccontava il Foglio nel 2011, è un po’ meno stanco. Si muove per farlo ancora cantare. Così Vasco non impazzisce, lo spiegava in Praticamente perfetto, e non impazziscono gli altri che lo stanno ancora ad ascoltare e ad aspettare. 
 
Emanuele Galesi 
e.galesi@giornaledibrescia.it
 

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