Renato Corsini: «Da 50 anni Capitale della fotografia, ora nuovi spazi»

Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con L’Eco di Bergamo e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura 2023. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bresciano e uno bergamasco, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bresciano. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’omologo bergamasco, invece, vi rinviamo a L'Eco di Bergamo (in calce all’intervista trovate il link diretto alla pagina dedicata del quotidiano orobico).
«Ora siamo Capitale della Cultura, ma Brescia merita anche l’appellativo di Capitale della fotografia». Ne è convinto Renato Corsini, architetto, fotografo, collezionista, gallerista, da sette anni deus ex machina del Macof - Centro della fotografia italiana e delle sei edizioni del Brescia Photo Festival. «Brescia alla fotografia ha dato tanto - spiega - sia come attività di fotografi sia come situazioni e occasioni espositive. Fra gli autori spicca storicamente Ugo Mulas, nativo di Pozzolengo, benché per attività non strettamente circoscritto alla brescianità. Ma tra gli illustri predecessori ci sono gli archivi Negri e Predali, i ritrattisti Allegri e Bragadina, che hanno fatto storia.
Ripercorriamola un po’...
Un momento di svolta sono gli Anni ’70, quando sotto l’egida dell’Associazione Artisti Bresciani nasce il Collettivo Fotografi. Il fotografare non è considerato più solo dal lato estetico, ma anche artistico, sociale, politico. È uno stacco dall’attività dei pur lodevoli circoli fotografici: c’eravamo io, Ken Damy, Franco Piazza, Tito Alabiso e altri. Il passaggio nasce anche dall’esempio d’un grande bresciano dell’obiettivo: Gian Butturini, il suo reportage «London by Gian Butturini» è epocale e rivela a Brescia la foto autoriale. Quando il Collettivo Fotografico si scioglie, io e Ken Damy fondiamo (anche grazie a un benemerito della fotografia come Lanfranco Colombo che con la sua Diaframma crea la prima galleria europea dedicata solo alla fotografia) la Diaframma Brescia. Una delle prime mostre è su Aleksandr M. Rodchenko, poi Franco Fontana e altri big. Dopo quell’esperienza io lascio per occuparmi professionalmente di architettura, ma Ken Damy, col suo Museo, prosegue un’opera di ricerca e mostre di alto livello, culminata curando varie edizioni della sua Biennale di Fotografia. Un fermento da cui poi nascono gallerie specificamente fotografiche, compresa la mia esperienza con la Wave. A quel punto la fotografia intesa come arte, a Brescia è decollata...
A che punto è il movimento fotografico bresciano?
È vivace e coinvolge tanti giovani, tante scuole, tante iniziative. Non a caso al Macof abbiamo creato la sezione Fotografia Bresciana che - lo anticipo qui - porterà una selezione di autori a Milano dove si omaggerà Brescia Capitale ospitandone le opere. Nomi è inutile farne, si rischia di dimenticare qualcuno solo per smemoratezza. Le nuove generazioni devono solo superare un limite: quello dell’essere un po’ omologate; pochi propongono vera innovazione e la ricerca spesso è più di tecnica e forma. Se guardiamo a cultura generale e pubblico, l’attività del Macof e le sei edizioni del Brescia Photo Festival dimostrano che nuovi spazi e ambizioni alimentano un salto di qualità e di attenzione. Col festival partimmo col botto, un big come Steve McCurry; poteva esserci una flessione, invece siamo riusciti a mantenere la qualità alta, con idee oltre che nomi. La Capitale ci aiuterà a crescere ancora.
Cosa manca a Brescia per diventare un cult tipo i Rencontres di Arles?
Ci manca, per ora, la Storia; è troppo presto. Però Arles suggerisce un dettaglio non di poco conto: bisogna che anche a Brescia la fotografia si estenda anche in provincia e in spazi differenti in aggiunta a quelli canonici. Che, insomma, diventi kermesse culturale e sociale.
A cosa punta ora il Corsini promotore di fotografia?
A proseguire nella crescita del Macof e del Photo Festival. Ho anche in animo letture trasversali del mio archivio formato in 50 anni di scatti. E mi piacerebbe avviare un percorso per fare riscoprire i classici della fotografia italiana e dunque, anche bresciana. Il mio modello fotografico ideale? Sarò banale, ma convinto: Henri Cartier Bresson.
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