Cultura

Paulo: «Il mio obiettivo è vivere della mia musica»

Parla il ventenne di Calvagese che è tra i 43 finalisti di «Sanremo Giovani»
Il bresciano Paulo - Foto Mattia Guolo/Sugar
Il bresciano Paulo - Foto Mattia Guolo/Sugar
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Il suo nome ha fatto un balzo di popolarità da quando, mercoledì scorso, è stato indicato tra i 43 artisti che si contenderanno un posto al sole con vista sul prossimo Festival della Canzone Italiana, sottoponendosi al giudizio di una giuria di esperti capitanata da Amadeus per l’accesso a Sanremo Giovani.

Ma Paulo, ventenne di Calvagese della Riviera, aveva già avuto modo di farsi notare: dapprima con la vittoria al contest «Dream Hit» del 2020, che lo ha portato sotto l’ala dell’organizzatore dell’evento (la Doom di Fedez), salvo poi approdare alla Sugar di Caterina Caselli; quindi con alcuni singoli che, prima ancora del sound (collocabile tra pop d’autore e urban, con l’aggiunta di un tocco latino), colpiscono per i testi, che sono appassionati e si fanno carico di fragilità e sogni di una generazione, mettendo al contempo in mostra un inconsueto taglio cinematografico.

Anche per questa singolarità, ci è venuta voglia di approfondire la conoscenza di Sergio Paulo Valvano, come il ragazzo è registrato all’anagrafe di Calvagese, dove risiede pure il lanciatissimo Blanco (con il quale c’è conoscenza e stima reciproca).

Paulo, cominciamo con il parlare delle tue origini. Dove sei nato?

A Desenzano del Garda, ma solo perché lì c’era l’ospedale (sorride, ndr). Sono cresciuto e vivo da sempre a Calvagese: sono il maggiore di 4 fratelli, mamma è venezuelana, papà di Salò.

La tua formazione musicale avviene in famiglia?

Grazie a papà ho conosciuto i cantautori, i due Lucio in particolare (Dalla e Battisti, ndr.). Fuori, invece, con gli amici e al liceo (il "Fermi" di Salò) ho avuto un approccio con la musica "più moderna". Ritengo che sia stato un bene, perché in effetti oggi ascolto di tutto: non ho autori di riferimento, ma tutto mi influenza. Quando scrivo, tutto ciò ritorna, ma a quel punto diventa mio. Anche perché non mi pongo davanti a una canzone con l’idea "voglio cantarla alla Modugno, magari con il sound di Michael Jackson", ma immaginando un mood, che sia anni ’90 o altro. Insomma, approccio il brano alla mia maniera.

Suoni uno strumento?

Strimpello tastiere e chitarra, cosa che mi aiuta per comporre le melodie. Ma su YouTube ho sempre trovato basi adatte per scriverci sopra: mi trovo a mio agio partendo dal testo, per arrivare solo successivamente al sound definitivo. I tuoi testi sono insieme freschi e curati, con puntuali riferimenti a un immaginario cinematografico, che nell’ultimo singolo, «Cielo Drive», diventano espliciti.

Che rapporto hai con la Settima Arte?

Sono un mega-appassionato di cinema, anche se mi sento ancora ignorante in materia. Amo Tarantino («Cielo Drive» nasce dalla visione del suo «C’era una volta a... Hollywood», ndr), De Palma, Nolan (di cui adoro «Interstellar»); ho cominciato a vedere Leone e Fellini. Non c’è un film che non mi trasmetta qualcosa, specie se ho modo di vederlo sul grande schermo.

Finora hai preso le cose con calma, arrivi alla competizione motivato e tranquillo. Con che prospettive?

Voglio godermi la gara e la preparazione, senza affanni. E poi vorrei vivere della mia musica.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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