Isgrò: «Il mio rapporto con Brescia, che merita nuovi contributi culturali»

Emilio Isgrò è salito sul «Palcoscenico archeologico» che la Fondazione Brescia Musei gli ha allestito nell’ambito del percorso di valorizzazione del patrimonio antico della città attraverso il dialogo con l’arte contemporanea, e con «Isgrò cancella Brixia» la scena si è riempita di immagini, musica, suoni, luci e parole, declinate nella poetica colta, coltissima, ma accessibile a tutti del maestro della Cancellatura.
Gli abbiamo rivolto alcune domande.
A cominciare dall’«Incancellabile Vittoria» nella Stazione FS della metro, entrata a pieno titolo nell’immaginario dei bresciani e dei visitatori che la incontrano al loro arrivo in città, la realizzazione del suo omaggio a Brescia ha richiesto tre anni. Come sono stati?
Sono stati impiegati tutti per dare il meglio alla città e avere il meglio dalla città. La grande tradizione culturale e civica di Brescia meritava un contributo ulteriore, perché questa è una città che ha motivo di ricercare se stessa nel suo grande passato. I mesi trascorsi li ho dunque adoperati uno per uno, e devo dire che non ho avuto molte preoccupazioni, a parte quelle creative, perché la doppia scommessa era questa: se la città fosse riuscita a darmi la forza di cui un artista ha bisogno in situazioni così speciali e se io fossi stato in grado di restituire questa forza moltiplicata, perché l’arte è un moltiplicatore di energie.
Una scommessa che ci pare vinta. Questa lunga gestazione è maturata in un momento storico particolarmente difficile, segnato prima dalla pandemia che ci ha reso così fragili e poi dalla crisi internazionale innescata dalla guerra. Nel suo lavoro la celebrazione del passato, della grandezza della cultura classica si confermano punti di riferimento imprescindibili per il presente e l’arte si riafferma un grande atto di fiducia...
Onestamente, dopo una pandemia così rovinosa per tutto il mondo, non mi aspettavo una guerra in Europa. È una cosa che ci turba particolarmente, perché sembra essere stata concepita proprio nel momento in cui ci si stava risollevando e chi l’ha scatenata pagherà per questa forma di crudeltà. Penso che l’Europa sia chiamata oggi a darsi un assetto più sicuro di se stessa e a capire che se certe decisioni non le prende le prendono altri per lei, senza il suo placet. L’arte è e deve restare un atto di fiducia, anche e soprattutto in questi momenti. Se uno non credesse nell’arte non potrebbe fare l’artista, anche se a volte gli artisti fingono scaramanticamente un minimo di pessimismo. Il nostro compito è agire con decisione insieme per perseguire un bene comune, anche in una realtà frammentata come quella attuale.
Con questo progetto, che mi ha visto collaborare in totale sintonia con Francesca Bazoli e Stefano Karadjov di Brescia Musei, Brescia ha espresso una grande forza di fronte a tutto il Paese: segnala agli italiani che l’Italia romana e latina è la grande Italia su cui poggiano le fondamenta della nostra identità, indipendentemente dall’uso bassamente nazionalista e aggressivo che se ne è fatto in altre epoche. Un’identità che viene direttamente da quell’eredità romana che io qui ho cercato di mostrare nella sua luce più inaspettata e più forte.
Si parla di una prosecuzione della sua collaborazione con Brescia per l’anno prossimo, ce lo conferma?
Ci sono grande idee, per un progetto che sia soprattutto innovativo, e io certamente non mi tirerò indietro. Oggi l’arte è uguale dappertutto, ma questa omologazione globale porta a dimenticare che gli uomini sono tutti diversi, con bisogni e desideri differenti che bisogna comporre nella visione di una vita più tranquilla e pacificata quanto più possibile. L’arte esprime i bisogni individuali dell’uomo, non esprime i bisogni dei listini di Borsa, non è fatta è per arredare gli appartamenti, come diceva Picasso, né per creare status symbol.
E i bisogni specifici della città allora quali sono?
Quelli da perseguire ancora oggi, quell’immagine diversa che la rende così possente e forte nel panorama italiano. Quando si pensa a Brescia ci si ricorda di un certo Risorgimento, di una certa idea dell’unità italiana, di un mondo solidale, dove domina un’idea evidente di rettitudine ed equità umana.
Come vede Brescia nel ruolo di capitale della cultura?
Oggi anche le più piccole realtà del mondo possono essere centrali, perché se le logiche economiche sono radicate nei grandi centri, dobbiamo ricordare che non si vive solo di mercato, ma anche di entusiasmi, slanci, e passione per la vita, per non usare una parola ancora più impegnativa come amore. Sono felice di accompagnare la città verso questo 2023 colmo di attese. Qui ho potuto fare cose che non avrei potuto fare in nessun altro posto, qui si riesce ad attizzare la speranza che è tipica dell’arte: la speranza di un mondo migliore, per tutti.
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