Fausto Leali: «Il Garda l’ho sempre frequentato volentieri»

Uno degli artisti bresciani più celebri in assoluto torna in provincia per un concerto antologico che attinge da tutto il meglio della sua carriera.
L’appuntamento con Fausto Leali e band è previsto per stasera al Parco Rolly di Manerba del Garda (in via del Rio 3), con l’organizzazione dell’associazione La Musica Unisce in collaborazione con il locale assessorato alla Cultura. L’inizio dello show è previsto alle 21.15, con due opzioni d’ingresso: 22 euro più diritti di prevendita per il solo posto a sedere; 37 euro più d.p., aggiungendo al live una cena a base di spiedo bresciano con polenta, che prende il via dalle 19 (prevendita su Mailticket.it; info da Pierre al numero di telefono 338.5976013). Per l’occasione, abbiamo sentito il cantante di Nuvolento.
Fausto, che mi dice del Garda?
È il lago per eccellenza dei bresciani, e io l’ho sempre frequentato volentieri, perché è bellissimo. Ricordo con piacere quando mio fratello maggiore comprò un motoscafino e lo percorrevamo in lungo e in largo.
Il suo pezzo che più ama è sempre «A chi»?
Nella mia classifica, «A chi» resta in vetta. Al secondo posto metto «Io amo», perché segnò il ritorno a Sanremo dopo 13 anni di assenza (con accoglienza trionfale, ndr). Sul terzo gradino del podio, un po’ staccata, «Mi manchi». Poi «Deborah» e «Ti lascerò» (con cui vinse Sanremo nel 1989, in coppia con Anna Oxa, ndr).
La storia di «A chi» è curiosa...
È proprio così. Interpretavo a volte il pezzo già nella versione originale, che era «Hurt» di Roy Hamilton, reso però celebre da Timi Yuro. Milva lo tradusse in maniera letterale in italiano nel 1962, e ne uscì «Ferita». Io non conoscevo questa cover, per cui quando decisi di renderla a mia volta in italiano, nel 1967, la stravolsi e la feci diventare «A chi».
Ma non piacque particolarmente alla mia casa discografica e io allora ero troppo giovane per impormi, per cui fu relegata a lato B del 45 giri «Se qualcuno cercasse di te». Fu Pippo Baudo a intuirne le potenzialità, imponendola con un sotterfugio nel programma della Rai, «Settevoci». Poi Renzo Arbore prese a passarlo in radio: solo allora i discografici si azzardarono a stamparne un po’ di copie. Che con il tempo sono diventate milioni...
Ha inciso blues, per cui la sua voce meravigliosamente graffiata è perfetta, ma non ha mai spinto troppo sul genere. Perché?
Quando ho cercato di farlo in maniera dedicata, non sono stato capito. E specializzandosi in canzoni più lente, in ballad, come è capitato a me, è poi difficile tornare indietro. In Italia, l’unico che si permette di fare davvero blues è Zucchero, e nemmeno sempre.
Le sue fonti di ispirazione appartengono tuttavia a quei territori musicali...
Sì: blues, rock, r&b e funky. Ray Charles è stato il mio modello di sempre: ho anche avuto modo di incontrarlo personalmente grazie all’amico Wilson Pickett. Poi James Brown, Percy Sledge, Ben E. King, i Beatles.
In tempi di pandemia regalò agli Spedali Civili di Brescia una splendida versione corale di «Il mio canto libero» di Battisti, coinvolgendo medici e paramedici nell’interpretazione. Cosa le rimane di quell’esperienza?
Il ricordo di splendide persone, l’orgoglio di aver fatto qualcosa per la mia città.
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