«Da Salvador Dalì a Banksy, solo l’arte riesce ad "osservare" la bomba atomica»

Terrà una lezione aperta martedì 2 maggio, alle 9.30 all’Università Cattolica di Brescia (via Trieste 17), sulla bomba atomica raccontata, descritta, dipinta e filmata nella cultura pop.
È questo l’argomento di cui tratta l’ultimo libro di Camilla Sernagiotto, giornalista del Corriere della Sera e di Sky Tg 24 («La trappola atomica. Come la bomba ha contaminato la cultura pop», Ultra, 2023) che per la prima volta mette insieme tutti i film, romanzi, canzoni, videogiochi, opere d’arte, serie tv, fumetti e addirittura cartoni animati che trattano della bomba a fissione nucleare. Ne abbiamo parlato con l’autrice, qui alla sua sesta pubblicazione, che proprio alla Cattolica di Brescia si è specializzata in Spettacolo, dopo la laurea in filologia medievale e moderna a Pavia.
Come nasce la sua opera?
Nasce da un bisogno urgente di sensibilizzare l’uomo affinché comprenda quale micidiale tasto ha in mano. Robert Oppenheimer, il fisico statunitense considerato il padre putativo della bomba atomica (ma la «madre putativa» è il fisico italiano Enrico Fermi), ha detto che è impossibile sbarazzarsi dell’atomica, perché la conoscenza per crearla ormai l’abbiamo, e non si potrà spazzare via. Credo sia importantissimo educare alle conseguenze di un’esplosione di questo tipo. E per spiegarlo, gli unici che ci possono venire in aiuto sono le migliori menti del Novecento e del Nuovo Millennio: cineasti, scrittori, artisti che hanno descritto la bomba.

L’incubo dell’atomica è tornato ad aleggiare su tutti noi dallo scoppio del conflitto russo-ucraino...
La situazione attuale ha accelerato un progetto che avevo nelle corde da anni. I miei primi due romanzi, «Sushiettibile» e «I bambini sono nati con successo», sono metafore delle due bombe atomiche impiegate per uso bellico: l’ordigno chiamato Little Boy, sganciato su Hiroshima dal bombardiere Enola Gay, e Fat Man, sganciato su Nagasaki da Bockscar. Inoltre nel 2016 formulai per SkyTg24 una teoria che insinua il dubbio che la serie televisiva «Twin Peaks» possa essere una metafora dell’atomica: mi sono accorta infatti che tutti i personaggi della serie ricalcavano nomi e cognomi di figure storiche legate al Progetto Manhattan, il programma militare top secret con cui furono costruite le prime atomiche.
Perché solo la cultura è in grado di farci «vedere» le immagini di ciò che questi spaventosi ordigni potrebbero provocare?
Soltanto i romanzieri, i registi, i pittori, gli scultori, i musicisti e via dicendo possono offrirci un’esperienza virtuale della bomba atomica, perché nessuno potrebbe mai osservare davvero cosa accade quando esplode un ordigno a fissione nucleare. Nei primi anni dopo l’agosto del 1945, quando vennero bombardate Hiroshima e Nagasaki, le immagini del dopo bomba, del fungo atomico e di tutto il resto erano tenute nella totale segretezza dal governo americano. Quindi la conoscenza della bomba può essere filtrata soltanto dai più grandi geni della nostra epoca; con un’eccezione: il romanzo di fantascienza «La liberazione del mondo» di H. G. Wells, pubblicato nel 1914, nelle cui pagine compare una bomba atomica ante litteram.
Quali sono, tra le tantissime forme che cita nella sua «enciclopedia», quelle più curiose o sorprendenti?
Nella seconda metà degli anni ’50 il governo americano attuò una vera e propria campagna di promozione dell’atomo e della bomba, con libri, fumetti e film in cui l’atomo era presentato come amico dei baby boomers (nel 1957 la Disney produsse un fumetto e un film dal titolo «Our Friend the Atom»). Molto interessanti sono il lavoro atomico di Salvador Dalì, il rapporto con la bomba di Banksy, le sculture di James Leroy A- cord. Tra le varie analisi che faccio nel libro, c’è quella dell’indissolubile strano legame tra heavy metal e atomica. Poi c’è la parte dedicata ai musicisti che hanno trattato di bomba con ironia, come «Weird Al» Yankovic che in «Christmas at Ground Zero» del 1986 canta allegramente «schivare detriti mentre tagliamo l’albero sotto un fungo atomico».
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