Smartphone ai figli, lo psicoterapeuta: «Regole chiare»

Alberto Pellai è autore di numerosi libri che si occupano di giovani e bambini, genitori e psicologia e tra questi c’è «Vietato ai minori di 14 anni - Sai davvero quando è il momento giusto per dare lo smartphone ai tuoi figli», scritto con Barbara Tamborini ed edito da DeAgostini, che approfondisce proprio il delicato rapporto con il telefonino e la tecnologia, un legame fatto di confidenza, dovuta all’enorme esposizione, ma incapacità, spesso, nel saperli gestire.
Perché scrive che conoscere la tecnologia per i giovani non significa saperla usare?
Perché l’on line richiede molto coinvolgimento, rallenta le funzioni cognitive e abitua al divertimento e alla gratificazione immediati. Io lo chiamo il «Dilemma di Pinocchio»: il burattino esce di casa per andare a scuola, ma poi incontra Lucignolo e si fa portare nel Paese dei balocchi. A divertirsi. Lo smartphone, ormai, arriva come regalo della prima comunione, è un oggetto molto desiderato che viene richiesto e, quindi, si tende ad accontentare il bambino, ma è uno strumento complesso da gestire per la funzionalità mentale che richiede, che spesso nemmeno gli adulti sanno gestire. È come mettere un bimbo che sa usare il go kart su una strada a quattro corsie.
Come fare?
Dire no è una responsabilità dell’adulto: si dicono i sì che aiutano a crescere, si dicono i no che fanno crescere. Questa paura ad affrontare la frustrazione del bambino rispecchia la fragilità degli adulti che hanno come misura la popolarità e non l’adeguatezza.
Per quando riguarda i profili social aperti in età precoce, prima dei 14 anni?
Sono l’ennesima evidenza che gli adulti fanno fatica a costruire un rapporto educativo e, cioè, a dare le cose giuste al tempo giusto. Poi c’è anche da sottolineare la responsabilità sociale delle piattaforme social che fanno un lavoro d’ingaggio fortissimo sui bambini proponendo contenuti proprio per loro. E sanno benissimo di richiamare quel tipo di categoria. L’accesso in età evolutiva ai social porta molti problemi correlati: questo è un tema che coinvolge anche la salute pubblica, non solo l’educazione.
E per chi ha più di 14 anni?
Il genitore deve aver parlato con il proprio figlio sul modo corretto di stare sui social. Anche dandogli l’esempio. Il dialogo è importante nel mantenimento della relazione con i figli. Quindi mai spiarlo di nascosto, ma stargli a fianco. Fino ai 16 anni meglio essere follower del figlio sui social ed essere pronti ad intervenire se entra in una zona di rischio.
Stabilire dei tempi contingentati per l’utilizzo?
Il parental control va bene, ma i giovani sanno benissimo come aggirarlo. Per il ragazzo deve diventare una competenza il sapersi monitorare, gestirsi e darsi un tempo limite. E capire che è la vita reale quella dove si acquisiscono le competenze.
I figli però sbuffano quando si fanno loro raccomandazioni o si impongono limiti...
Sì, è normale che lo facciano e non mi preoccuperei per questo. Dare dei limiti è necessario, vanno messi anche se questo se ne lamenta. Io consiglio di guardare con i figli il documentario «The social dilemma», disponibile su Netfix, che mette in evidenza come le preoccupazioni degli adulti hanno delle basi scientifiche.
E poi quali altri consigli ha per i genitori?
Se un genitore ha una linea educativa questa va seguita. Poi bisogna fornire alternative alla vita online favorendo la socialità attraverso lo sport o offrendo occasioni per trascorrere i pomeriggi con i coetanei.//
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