Vanoni, il funerale a Brera: «Dio, grazie di averci dato Ornella»
La chiesa di San Marco, nel cuore di Brera, era gremita per l’addio a Ornella Vanoni. Dentro, il silenzio teso dell’attesa; fuori, centinaia di persone raccolte sul sagrato, in fila per un ultimo saluto a una delle voci più riconoscibili della musica italiana.
Durante l’omelia, don Luigi Garbini ha scelto parole che hanno riportato la cantante nella dimensione collettiva che ha accompagnato per decenni la sua carriera. Ha parlato delle canzoni come di «ritornelli della vita», luci discrete che rimangono accese «come i lumini sugli altari», capaci di raccontarci anche quando non ci siamo più. Ha definito Ornella «un dono», inserendo le sue parole nella lettura del Vangelo: «Ti benedico e ti ringrazio, o Padre del cielo e della terra, perché ci hai dato Ornella».
L’omelia
Riprendendo un’immagine di Virginia Woolf, il sacerdote ha spiegato come le canzoni possano diventare «momenti di essere», oppure presenze troppo dolorose perché legate a vicende personali. In ogni caso, ha detto, fanno parte della memoria di ciascuno. È su questa continuità che ha costruito il ricordo dell’artista: quasi un secolo attraversato fra teatro, cinema, televisione e musica. Una storia in cui, come ha osservato il giornalista Gino Castaldo, è sempre stata la musica a possederla. «I posseduti non si oppongono al morso della musica. Ornella lo è stata dall’inizio alla fine. E questa fine è un nuovo inizio».
Nella seconda parte dell’omelia, don Garbini ha messo al centro la fragilità come chiave della sua spiritualità e della sua arte. Ha citato i versi più noti – «ho sbagliato tante volte ormai che lo so già» – ricordando come Vanoni abbia spesso parlato dei propri crolli e della depressione, trasformandoli in un territorio creativo. «Dove c’è fragilità, c’è sincerità. È questo il guaio dei veri artisti: vivono in equilibrio su un’emozione». Ha definito la depressione un «luogo dello spirito», capace di generare parola e autenticità, un punto di vista prezioso in un tempo in cui la sofferenza resta spesso soffocata.
Nell’ultimo passaggio, il sacerdote ha spiegato che proprio da quella fragilità nasceva la leggerezza di Ornella, una leggerezza mai vuota, ma piena di esperienza e ironia. «Le parole sulle note sono la migliore compagnia», ha detto ricordando la forza narrativa dei suoi testi. È quella combinazione di voce, ironia e immediatezza – ha aggiunto – ad averla resa così vicina al pubblico, capace di «bucare tutti gli schermi» e di restare familiare a chi l’ha ascoltata negli anni.
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