Omicidio Mattarella: ex prefetto Piritore arrestato per depistaggio

Secondo la Procura Filippo Piritore avrebbe reso dichiarazioni prive di riscontro contribuendo a sviare le indagini sulla morte di Piersanti Mattarella, anche quelle riguardanti il guanto dei killer mai ritrovato
La macchina in via Libertà, luogo dell'agguato in cui è stato ucciso Piersanti Mattarella il 6 gennaio 1980 a Palermo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
La macchina in via Libertà, luogo dell'agguato in cui è stato ucciso Piersanti Mattarella il 6 gennaio 1980 a Palermo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Quarantacinqie anni dopo il delitto, la Dia ha notificato la misura degli arresti domiciliari a Filippo Piritore, ex funzionario della Squadra Mobile di Palermo ed ex prefetto indagato per il depistaggio delle indagini sull’omicidio dell'ex presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, ucciso il 6 gennaio 1980 nel capoluogo siciliano. Sentito dai pm di Palermo sul guanto trovato il giorno del delitto a bordo della Fiat 127 utilizzata dai killer, mai repertato né sequestrato, Piritore avrebbe «reso dichiarazioni rivelatesi del tutto prive di riscontro, con cui ha contribuito a sviare le indagini funzionali (anche) al rinvenimento del guanto (mai ritrovato)».

Piersanti Mattarella - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Piersanti Mattarella - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Le intercettazioni

«Qualche cosa fanno»: così Piritore, non sapendo di essere intercettato, confidava alla moglie il timore di essere coinvolto in iniziative giudiziarie. Era il 22 settembre 2024 e da poco era stato interrogato dalla Procura. «Tutto quello che mangio mi fa acidità per ora... È lo stress… Tu non sai quello che...», dice alla donna. »E va beh fai male… Sbagli… Tanto non serve a un cazzo quindi… Peggio per te...tutto sto stress ridicolo...», risponde lei. «Rompere i coglioni dopo quarantacinque anni...», continua Piritore, riferendosi agli inquirenti che continuano a indagare sul delitto. «Qualche cosa fanno», aggiunge paventando iniziative contro di lui. «Ma che fanno...! Non fanno un cazzo… Dopo quarant'anni che cazzo devono fare… Sei tu che sei tipo uccello del malaugurio», commenta la moglie.

Secondo i pm le frasi captate sarebbero «incompatibili con la posizione di un funzionario che ha compiuto il proprio dovere». «Figura di merda, non ricordavo un cazzo… Io poi gliel’ho detto… Guardi secondo me… Dico saranno sparite negli anni ’90 perché dico prima nell’’80 servivano da solo… Non potevano servire solo per le impronte digitali… E dopo è venuto il Dna… Quindi sono sparite da… Se sono state occultate negli anni ’90… Quando si è scoperto il Dna», aveva detto alla moglie il 17 settembre dopo essere stato sentito, riferendole il contenuto dell'interrogatorio.

«Il tenore delle conversazioni intercettate rivelava innanzitutto un profondo sconvolgimento di Piritore sia prima che dopo le sue dichiarazioni, tanto che lo stesso cercava di sfuggire alle domande della moglie durante il tragitto per e da Palermo per sottoporsi all’atto istruttorio», commentano i magistrati.

L’omicidio

L'automobile dopo il delitto Mattarella - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
L'automobile dopo il delitto Mattarella - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Per l’omicidio Mattarella sono stati condannati con sentenza definitiva i componenti della commissione provinciale di Cosa nostra dell’epoca, Salvatore Riina, Michele Greco e Francesco Madonia, mentre vennero assolti gli ex Nar Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini accusati di essere gli esecutori materiali del delitto. Sul movente dell’assassinio la Corte d’Assise ritenne che Mattarella da presidente della Regione aveva intrapreso una «politica di rinnovamento, resa ancor più incisiva per i poteri di controllo che lo stesso aveva come presidente e che, per primo nella storia della Regione, aveva esercitato anche nei confronti del Comune».

Il riferimento era agli appalti e alla contrapposizione dell’ex presidente al sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, al cui rientro nel partito Mattarella si era fermamente opposto. Il processo ha accertato che tra le cause dell’omicidio di Piersanti Mattarella inoltre c’era l’azione di profondo rinnovamento che la vittima esercitava tentando di spezzare il legame fra Cosa nostra e certa politica.

Nel 2017 l’inchiesta sul delitto venne riaperta concentrandosi sugli eventuali legami tra l’omicidio e le attività dell’eversione nera e dei Nar. Ma al momento gli accertamenti – in particolari quelli tecnici – non hanno portato a sviluppi significativi. Recentemente infine i pm hanno iscritto nel registro degli indagati per il delitto, come esecutori materiali, i boss Nino Madonia e Giuseppe Lucchese. Nell’ambito di quest’ultima tranche d’indagine è in corso un incidente probatorio sulle impronte trovate sulla Fiat 127 usata dai killer.

Il guanto

Nella storia del guanto che uno dei killer di Piersanti Mattarella dimenticò nell’auto è spuntato anche il nome di Bruno Contrada, l’ex numero due del Sisde condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Dell’ex poliziotto si parla proprio nell’inchiesta che ha portato all’arresto di Piritore. Contrada, lo accerta una sentenza ormai passata in giudicato, nell’anno del delitto Mattarella, su cui il funzionario di polizia indagò sia come capo della Squadra mobile che come capo della Criminalpol, aveva rapporti con la mafia di Michele Greco e Totò Riina. Per cui – è la tesi dell'accusa – mentre si occupava dell’inchiesta sull’assassinio, intratteneva relazioni riservate con i boss.

L’ex numero due del Sisde, sostengono ancora i magistrati, era sul luogo del delitto per partecipare alle indagini e, il 6 gennaio 1980, insieme all’ufficiale dei carabinieri Antonio Subranni e all’allora pm Piero Grasso, acquisì informazioni sia dalla vedova di Mattarella, Irma Chiazzese, che dal figlio Bernardo, entrambi presenti all’omicidio. Lo stesso Piritore ammette di aver informato del guanto Contrada. «Avvisai subito il dirigente della Mobile, nella persona di Contrada, che evidentemente mi disse di avvisare il dottor Grasso e di mandare i reperti alla Scientifica», ha detto ai pm l’indagato. Contrada e Piritore, infine, secondo i magistrati, erano amici e si frequentavano anche oltre il lavoro.

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