Intercultura, a Brescia le storie di chi ha trovato una seconda famiglia

Barbara Fenotti
L’organizzazione che si occupa di scambi culturali compie settant’anni: le celebrazioni nel Salone Vanvitelliano di palazzo Loggia
L'incontro di Intercultura nel Salone Vanvitelliano - © www.giornaledibrescia.it
L'incontro di Intercultura nel Salone Vanvitelliano - © www.giornaledibrescia.it
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Nel Salone Vanvitelliano di palazzo Loggia si è celebrata oggi una doppia ricorrenza importante: il 70° anniversario di Intercultura e del suo Centro locale di Brescia. L’occasione è stata la cerimonia di premiazione dei ragazzi ospitati quest’anno in città e di quelli che partiranno in estate per vivere un’esperienza all’estero.

Volontari e valori

Ad aprire l’appuntamento ci ha pensato Elisa Viola, alla guida del Centro locale, che ha sottolineato l’impegno quotidiano dei volontari e il valore formativo degli scambi interculturali.

Fondata in Italia nel Secondo Dopoguerra da un gruppo di giovani che avevano conosciuto all’estero i benefici di una convivenza tra culture, Intercultura ha radici ancora più antiche: a livello internazionale l’associazione trae origine dall’American field service, nato in Francia nel 1915 come organizzazione umanitaria. Da allora migliaia di studenti hanno attraversato i confini con una valigia piena di curiosità e sono tornati con una visione del mondo più ampia.

Le storie dagli Usa

Durante la cerimonia alcuni ex partecipanti hanno condiviso le loro storie, restituendo al pubblico la profondità di un'esperienza che lascia il segno per tutta la vita.

Laura Balzanelli partì nel 1965 per gli Stati Uniti, quando ancora i viaggi intercontinentali si facevano in nave: «Partii da Rotterdam su un peschereccio olandese – racconta –: trascorsi dieci giorni di mare durante i quali non riuscii a toccare cibo per via del cattivo odore e del beccheggio». La voglia di realizzare il suo sogno era, però, più forte. «Quando ho visto la Statua della Libertà non ci credevo – ricorda –. I contatti con casa erano rarissimi, al punto che parlai con i miei solo una volta, a Natale. Ci scrivevamo lettere che conservo ancora». Un ricordo che le è rimasto nel cuore e che, ancora oggi, racconta con emozione.

Marina Tramontana, anche lei negli Usa durante il periodo della Guerra Fredda, ha vissuto momenti intensi come il cambio improvviso di famiglia per motivi di salute della mamma ospitante: «Ho pianto tutte le mie lacrime – rammenta – ma mi sono detta: se superi questo, puoi superare tutto». Ancora oggi porta al polso un braccialetto con ciondoli che raccontano la sua avventura. Tra gli episodi più vividi, il blackout che la sua famiglia americana temette fosse un attacco russo: segni di un’altra epoca, ma anche di una consapevolezza globale che nasce dall’incontro con l’altro.

Dalla Tunisia alla Turchia

Mohamed Alì Lansari, arrivato in Italia dalla Tunisia nel 2024 per un anno con Intercultura, ha raccontato di aver scelto di restare a vivere nel nostro Paese, affascinato dalla cultura italiana e dai legami stretti con la sua famiglia ospitante. «Ho conosciuto tante persone e ho sentito davvero di far parte di qualcosa» ha detto con emozione e gratitudine.

Infine Martina Bussacchini, che ha vissuto il suo anno di scambio in Turchia nel 2020, in piena pandemia. «Sono partita il giorno dopo l’annuncio del lockdown - spiega -. Ho saputo della destinazione solo all’ultimo. In Turchia ho trovato una seconda famiglia: siamo tutt’ora in contatto e ogni tot ci vediamo».

Settant’anni dopo la sua nascita Intercultura continua a essere un ponte tra persone e culture, un investimento educativo e umano che, attraverso il confronto, arricchisce tutti: chi parte, chi ospita, chi ascolta. E il Centro locale di Brescia ne è una testimonianza viva e attuale.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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