Cronaca

Gino Cecchettin: «Dedicate ai figli tutto il tempo che avete»

Al festival Oltreconfine il padre di Giulia: «Porto sempre con me il suo sorriso: è la sua eredita»
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Gino Cecchettin racconta la figlia Giulia
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«Sono un uomo fortunato, perché ho vissuto con la figlia ideale per ventidue anni». Lei era Giulia Cecchettin. Lui è papà Gino. Fortunati ieri sera sono stati i cinquecento e più ospiti del centro congressi di Darfo Boario Terme che ha fatto da cornice all’incontro con il padre della ragazza uccisa poco meno di un anno fa da Filippo Turetta, il suo ex fidanzato, e che è divenuta, grazie anche all’impegno del padre e della sorella Elena, simbolo della lotta al patriarcato.

Il pubblico presente in sala © www.giornaledibrescia.it
Il pubblico presente in sala © www.giornaledibrescia.it

Ospite del festival Oltreconfine, intervistato da Maria Ilaria Dondi, Gino Cecchettin ha parlato della sua ragazza, della sua eredità, della sua missione. Ha parlato agli uomini, intesi come maschi. Ai genitori, ai loro figli. Un’ora densa. Una lezione. Un’occasione.

Il legame

«Un papà non si rassegna alla fine di una bella storia così – ha detto Gino Cecchettin –: a lei non dicevo mai quanto fosse perfetta, ma di lei mi vantavo con i parenti e con gli amici. Giulia vedeva l’amore in ogni cosa, dava un’anima a tutto. È stata lei ad indicarmi la via per sopravvivere».

Il papà è tornato anche ieri all’11 novembre dello scorso anno, a quella notte in cui Giulia non rientra a casa. Ha sentito di nuovo quegli atroci sospetti farsi largo sotto pelle. Ha rivissuto la notizia del ritrovamento del suo corpo, dell’arresto di Turetta.

«Credo di aver esaurito le lacrime in quella settimana – ha raccontato ieri al pubblico di Darfo – di averne piante così tante da non averne più. In quei giorni a salvarmi è stata un’immagine, una foto di Giulia. Guardandola mi è scappato un sorriso e su quel sorriso ho costruito il mio scopo. Ho capito che il bene che mi dava Giulia mi avrebbe liberato dal male che stavo provando, che il bene avrebbe portato altro bene e mi sono detto che avrei potuto superare il dolore aiutando altri genitori nella mia situazione, o magari altre donne vittime di violenza, delle tante forme di violenza delle quali sono vittime. Da qui l’idea del libro».

Il messaggio

Si intitola «Cara Giulia, quello che ho imparato da mia figlia» è edito da Rizzoli. È frutto della consapevolezza di un uomo che ha sperimentato sulla sua pelle il patriarcato. L’ha subito in prima persona. «Credevo che non potesse toccarmi - ha ammesso Gino Cecchettin – che per estrazione e cultura non mi potesse sfiorare. Mi sbagliavo. E sbagliano gli uomini che la pensano come la pensavo io. Mia figlia Elena, che è un essere superiore, con il suo post che tanto fece discutere in quei giorni, mi ha fatto capire il senso più profondo del patriarcato, quello che non si legge nelle definizioni. Ho capito il peso che ha anche sugli uomini: la ricerca del controllo, la necessità di dominio sull’altro priva anche loro della possibilità di vivere un amore pieno, come andrebbe vissuto».

Gino Cecchettin si è rivolto ai genitori in sala: «Dedicate ai figli tutto il tempo che avete, ditegli anche ti amo: fa strano, lo so, ma fa la differenza. Il tempo purtroppo ha una direzione sola, io l’ho visto volar via in una sola notte, quindi state con loro, dialogate con loro, assecondate i loro sogni».

A proposito di sogni il papà di Giulia invita i ragazzi a credere nei propri, prima che qualcuno li porti via. «Giulia – ha raccontato ancora Cecchettin – mi disse che si sarebbe laureata e che dopo la laurea avrebbe voluto fare un corso comix, voleva diventare illustratrice. Al momento non avevo capito, pensavo si riferisse ad un corso di qualche ora alla settimana, non ad un percorso triennale. Non avevo capito che volesse prendere i suoi studi di Ingegneria e buttare di fatto via tutto per ricominciare da capo. Quando gli ho detto che per me andava bene, a patto che diventasse la miglior illustratrice d’Italia, mi fece un sorriso che porto sempre con me. È la sua eredità».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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