Cronaca

Esplosione Verona: «Mio fratello generoso e con grande senso del dovere»

Francesca Zani
A parlare è Andrea Piffari, fratello di Marco, uno dei carabinieri morti nello scoppio del casolare di Castel D'Azzano
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L'intervista ad Andrea Piffari, fratello del carabiniere morto a Verona
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Quella dei Carabinieri non era soltanto una divisa, era una seconda pelle. E l’Arma era la sua ragione di vita. Il padre Luigi, il fratello Andrea, la sorella Michela, ma anche gli amici e i vicini di casa ricordano così Marco Piffari, scomparso tragicamente nell’esplosione del casolare di Castel d’Azzano, avvenuta stamattina. Un ricordo straziato, ma anche pieno di orgoglio per come Marco ha sempre concepito il suo impegno nei carabinieri.

La famiglia Piffari si era trasferita da Taranto a Rezzato circa 50 anni fa, proprio nella casa di contrada Capo Sera dove ancora oggi vive l’anziano papà Luigi. È lì che Marco è cresciuto, ha frequentato le scuole, ha giocato e sognato – sin da bambino – di indossare quella divisa che considerava un simbolo di onore e dedizione. A soli diciassette anni aveva già scelto la sua strada: entrare nell’Arma.

Cuore grande

«Marco – racconta il fratello Andrea – era un uomo dal cuore grande, incapace di voltarsi dall’altra parte. Il suo senso del dovere non conosceva limiti, così come il suo amore per gli animali, per la natura. Amava la giustizia e anche fare del bene. Questo venerdì sarebbe dovuto tornare a casa (da anni viveva in un paesino del Padovano, ndr), per salutarci prima della partenza per il Libano, dove era atteso per una missione il 22 ottobre. L’idea era festeggiare in anticipo il compleanno di papà. Di lui posso dire che all’Arma ha dato davvero tutto, fino alla sua vita».

Piffari era il comandante della Squadra Operativa Supporto del Battaglione mobile di Mestre - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Piffari era il comandante della Squadra Operativa Supporto del Battaglione mobile di Mestre - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Quella in Libano avrebbe dovuto essere l’ennesima di una lunga serie di missioni, che lo avevano visto impegnato in operazioni delicate all’estero. Separato, senza figli, Marco aveva scelto di dedicarsi interamente al suo lavoro, a quella «famiglia più grande» che erano i suoi commilitoni. Un’ex compagna di scuola lo ricorda «sorridente, propositivo sempre pronto ad aiutare, uno di quelli che volevano esserci per primi non per protagonismo, ma per altruismo». Rosanna, la vicina di casa, rivede ancora il suo ultimo abbraccio sulle scale: «Mi ha sorriso, come sempre: ora quel gesto ha il sapore di un addio».

Non è ancora deciso dove si terranno i funerali, ma la famiglia spera che possa tornare a casa, dove anche la cittadinanza e le istituzioni, che in queste ore si stringono intorno ai suoi cari, aspettano di celebrare il proprio eroe.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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