Chi era Maurizio Rebuzzini, il critico fotografico morto a Milano
La notizia della morte di Maurizio Rebuzzini, critico fotografico milanese, ha scosso anche Brescia. Non solo perché non si esclude l’ipotesi di omicidio – è stato trovato agonizzante sul ballatoio dell’appartamento-studio in cui viveva, in zona Stazione Centrale, con segni compatibili con lo strangolamento – ma anche perché numerosi studenti e studentesse bresciane avevano seguito il suo corso di Storia della fotografia in Università Cattolica. Era infatti docente alla Facoltà di Lettere e filosofia oltre che membro del Comitato scientifico del Macof, il centro della fotografia italiana di Brescia ospitato fino al 2025 nell ex tribunale in via Moretto (ora Cavallerizza).
Chi era Rebuzzini
Nato a Milano nel 1951, Rebuzzini ha sviluppato fin da giovane un forte interesse per il linguaggio fotografico e dal 1972 si è occupato professionalmente di fotografia. Ha insegnato Storia della fotografia all’Università Cattolica, e soprattutto ha fondato e diretto la rivista «FOTOgraphia», che dal 1994 è un punto di riferimento per la critica fotografica italiana, intesa come laboratorio di pensiero critico e piattaforma internazionale di confronto sul fenomeno culturale dell'immagine.
La rivista, nata come bimestrale cartacea e poi arricchita con una versione online, propone analisi critiche e riflessioni teoriche, esplorando la fotografia come linguaggio sociale, strumento tecnico, documento storico e memoria collettiva.
È stato anche curatore della sezione storica degli apparecchi fotografici al Museo Nazionale Alinari della Fotografia. Nel corso della sua carriera ha vinto il Premio Giornalistico Assofoto nel 1984, l’Horus Sicof nel 1997, il Trofeo Nazionale per la stampa specializzata nel 1999, il Premio Orvieto Fotografia nel 2004 e il Premio AIF alla carriera nel 2017.
Le parole del figlio
«Mio padre era una persona buona, gli volevano tutti bene, non era uno che litigava. Conoscendolo, è remotissima la possibilità che qualcuno possa avergli fatto del male», ha detto il figlio Filippo Rebuzzini, che non vuole nemmeno sentire la parola «omicidio» e pensa che la morte di suo padre sia dovuta a cause naturali o a un incidente. «Ha operato con una grande etica e professionalità, sempre per il bene e per l’interesse culturale della fotografia. Questo è il motivo per cui era unanimemente apprezzato e grande amico di tanti fotografi importanti», racconta.
«La fotografia era la sua vita. Non ho un ricordo di mio padre che fa una vacanza. Non c’è stato un giorno in cui non passasse dallo studio a fare qualcosa inerente alla rivista o a un’idea che aveva in testa», ha concluso.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.