Camilla Baresani, compagna di Sestini: «Giorni di ansia mostruosa»

Il fotoreporter Massimo Sestini è «morto e risorto». Lo ha detto lui stesso una volta riemerso dal coma farmacologico nel quale si trovava da una decina di giorni, ricoverato all’ospedale di Trento dopo essere stato salvato nelle acque del lago ghiacciato di Lavarone. Si era immerso con il reparto sommozzatori di San Benedetto della Guardia Costiera.
La ragione era professionale: «Ero lì, come sempre, per il mio lavoro: ossia informare attraverso le foto. Un lavoro che ho sempre svolto ovunque, spesso nelle condizioni più difficili. Il pericolo è insito nella nostra professione». In un’intervista raccolta da Walter Veltroni per il Corriere della Sera, Sestini ha aggiunto che appena sotto l’acqua gli si è bloccata la glottide, facendogli ingerire acqua ghiacciata che, a sua volta, ha provocato nei giorni successivi una pesante polmonite.
Il racconto della compagna
«Lui era in coma, non si è reso conto di niente. Noi abbiamo vissuto giorni di ansia mostruosa. Un dramma. Anche perché inizialmente le notizie erano drammatiche». A parlare in questo caso è Camilla Baresani, scrittrice bresciana e presidente del Ctb, sua compagna. «Per fortuna Massimo, che non ha mai fumato una sigaretta in vita sua e che grazie a Dio ha un fisico solido, ma soprattutto grazie alla bravura di medici e soccorritori, ne è uscito».
Un’ottima notizia, che tocca da vicino anche Brescia. Sestini, infatti, è ormai un po’ bresciano, dice Baresani, e non solo per ragioni sentimentali. In questo periodo è in corso al museo di Santa Giulia la mostra «Zenit della fotografia», che ne ripercorre la carriera. «Oggi (ieri per chi legge, ndr) Massimo e Stefano Karadjov, direttore di Brescia Musei, si sono sentiti», racconta Baresani. «Il direttore ci teneva molto e gli ha anche detto una cosa sottile che l’ha piuttosto turbato, perché molto profonda: gli ha fatto notare come la sua immagine più famosa, il barcone di migranti con cui vinse il World Press Photo, ritragga 500 persone felici per un salvataggio, in un elemento – l’acqua – nel quale migliaia di altri naufraghi muoiono e nel quale stava per morire anche Massimo. Sembra ci sia un ponte. La sua storia più importante come fotografo e quella più importante come essere umano sono legate da un trait d’union potentissimo».

A confermarlo è lo stesso Karadjov. «Da quando è avvenuto l’incidente, penso che non sia stato un caso. Massimo ha provato sulla sua pelle cosa significhi annegare, un tema che ha affrontato spesso con le sue fotografie, che hanno immortalato i migranti che muoiono ogni anno nel Mediterraneo: lo trovo catartico. Secondo me incrementerà anche l’intensità del suo lavoro. Ad ogni modo, qualunque sia la ragione, siamo contenti di saperlo sano e salvo».
Brescia Musei
Per celebrare questa ottima notizia, Brescia Musei non si è limitata a un biglietto di «buona guarigione». «Siamo davvero felicissimi», ribadisce Karadjov. «Abbiamo seguito con trepidazione questi dieci giorni di disavventura. Ancora prima che Massimo uscisse dal coma farmacologico ci siamo chiesti cosa potessimo fare da parte nostra per aiutarlo anche indirettamente, stimolandolo dal punto di vista psicologico. Credo che ci sia una forza al di là della razionalità, e quindi, per spronarlo da lontano, abbiamo guardato il calendario e deciso di prolungare la mostra fino a Pasqua. L’idea era di prenderci tutto il tempo necessario perché uscisse e venisse a trovarci. Per fortuna è avvenuto in fretta. Al telefono, oggi (ieri, ndr), gliel’ho annunciato: ne è felicissimo. Lo attendiamo a Brescia per una festa di finissage».
Con calma, quindi, Brescia Musei annuncerà tutti i dettagli. «Intanto siamo felici di aver fatto questa scelta».
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