Cronaca

Dopo le mafie, l’oblio: l’agonia dei beni confiscati alla criminalità

Sui 292 casi nel Bresciano, solo 136 sono stati già riassegnati: le associazioni invocano patti diretti con il Terzo settore
L'inaugurazione dell'Help center intitolato a Emanuele Loi - Foto/Comune di Brescia/Christian Pennocchio
L'inaugurazione dell'Help center intitolato a Emanuele Loi - Foto/Comune di Brescia/Christian Pennocchio
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Mancano i fondi per il loro riutilizzo sociale e tra burocrazia e spese i piccoli Comuni faticano a prenderli in gestione. Sui beni confiscati alla criminalità organizzata – simboli del riscatto e della vittoria dello Stato sulle mafie – pesano problemi cronici che sono stati ribaditi dalle associazioni e dalle organizzazioni sindacali anche nell’ultima Commissione speciale Antimafia, anticorruzione, trasparenza ed educazione alla legalità di Regione Lombardia.

Nel Bresciano – che grazie alla ricchezza del suo territorio e ai grandi flussi finanziari si è nel tempo fatto humus dei cartelli criminali – i beni che sono finiti nelle mani dello Stato (e quindi della collettività) sono finora 292, cinquanta dei quali nel capoluogo. Secondo l’associazione Libera, però, solo 136 di questi beni (tra cui 8 aziende) sono stati assegnati a progetti di riconversione in tutto il Bresciano. Più della metà restano dunque chiusi e inaccessibili.

Nel limbo

 A Brescia, ad esempio, tra immobili e aziende risultano non ancora affidate 23 realtà – quasi il 50% del totale – e proporzioni simili si registrano anche nei Comuni bresciani che sul proprio territorio ospitano il maggior numero di beni confiscati. E basta seguire la ricchezza per incontrare sul proprio cammino i simboli delle mafie emigrate al Nord.

Sul Garda si contano decine di strutture che hanno avuto come proprietari narcotrafficanti, prestanome o esponenti di clan: non a caso a Desenzano i beni confiscati risultano essere 13 (sette dei quali inutilizzati) e a Lonato 10 (sei ancora in attesa di riconversione). Quando si dice: «Follow the money».

E se la Bassa è ricca di terreni acquistati dalle organizzazioni criminali e ora nelle mani pubbliche (a Torbole Casaglia sono 18 i beni confiscati, nessuno destinato), in Valcamonica spicca Pian Camuno (con 11 immobili confiscati che ora sono in gestione). Infine a Chiari i beni confiscati sono 13 e a Calcinato 9.

Opportunità

Così, dopo essere stati utilizzati per ripulire denaro sporco dalle organizzazioni criminali oggi negozi, case, garage, stabilimenti neppure offrono nuove opportunità alla collettività. Spesso la legge del contrappasso non si realizza appieno. Neppure in una provincia come quella di Brescia, che per numero di beni confiscati in Lombardia è dietro solo a quelle di Milano e di Monza e Brianza.

Ecco perché le associazioni antimafia più impegnate nella riconversione e nella gestione di immobili e aziende puntano a una rivoluzione del sistema, che includa patti diretti col Terzo settore capaci di rappresentare un’alternativa per destinare quei beni ancora senza un futuro.

Terzo settore

Da Libera a Legambiente, da Cgil e Cisl alle Acli, da Agesci ad Arci: le realtà che sono intervenute in audizione al Pirellone hanno rimarcato le complessità in alcuni casi insormontabili sottolineando però l’esigenza di aggiornare la strategia regionale con un maggiore coinvolgimento degli enti del Terzo settore e di prevedere interventi non solo strutturali ma anche di sostegno alla gestione quotidiana dei beni. E in effetti da qualche anno è la stessa Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc) a spingere verso bandi rivolti direttamente alle associazioni del Terzo settore per blindare l’utilizzo a fini sociali dei beni confiscati alle mafie. Di fatto bypassando gli enti locali.

Ma l’obiettivo è ambizioso e l’impegno arduo. D’altro canto, in occasione dell’ultima audizione in Regione, è stata la stessa presidente della Commissione Paola Pollini a confermare l’impegno a proseguire un percorso di confronto costante con le associazioni e i sindacati, che a loro volta hanno chiesto un maggiore e costante confronto con la Giunta regionale per rendere più efficaci le politiche regionali sui beni confiscati anche attraverso incontri operativi per rendere sistemico il lavoro di rete. Finora siamo solo alla fase dei tavoli, ma l’interlocuzione è ormai avviata.

L'appello di Gratteri

«Beni confiscati alla mafia? Diversi milioni di euro restano inutilizzati dallo Stato». L’ultima denuncia, di pochi mesi fa, è del procuratore di Napoli Nicola Gratteri. E in effetti i dati confermano le parole del magistrato. Dal 1982 ad oggi in Italia più di 36.600 beni immobili (particelle catastali) risultano confiscati, ma solo il 48% è stato destinato dall’Agenzia nazionale per le finalità istituzionali e sociali: ben 5 beni su 10 rimangono ancora da destinare. E quasi trent’anni dall’approvazione della Legge 109 del 1996, il bilancio è a tinte fosche.

Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it

«Questa grandissima mole di beni rischia di essere inutilizzata a causa della normativa vigente, della mancanza di personale competente e specializzato e degli onnipresenti intoppi burocratici – continua Gratteri –. L’Agenzia nazionale preposta all’amministrazione diretta di tali beni e alla programmazione della loro futura destinazione presenta non poche criticità che di fatto hanno frustrato e frustrano l’obiettivo della sua istituzione».

Basti pensare all’azzeramento per lo più automatico del valore economico dell’azienda e dei beni immobili, all’indomani dei provvedimenti di sequestro. «La gestione dei beni confiscati attraverso le procedure e le modalità previste dalla normativa vigente non ha prodotto gli esiti sperati. L’importanza economica che ormai ha assunto il complessivo patrimonio sottratto al crimine e in particolare la sua componente aziendale impone di garantirne quantomeno la salvaguardia, se non la redditività», conclude Gratteri mentre l’Italia tiene sotto il tappeto l’ennesimo tesoro non valorizzato adeguatamente.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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