Cronaca

Dal Bangladesh all’Italia inseguendo un sogno: la storia di Hassan

Edoardo Viola
Un’odissea: ogni mese la sua famiglia deve pagare 600 euro allo Stato perché ha ipotecato i propri terreni per permettergli di partire; lui qui lavora in nero e parla un italiano stentato
Un viaggio lungo e complicato, iniziato in Bangladesh e terminato con lo sbarco sulle coste di Lampedusa
Un viaggio lungo e complicato, iniziato in Bangladesh e terminato con lo sbarco sulle coste di Lampedusa
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Lo incontriamo alla fermata del pullman: appare gracile, in attesa, in disparte, lontano dalla ressa degli alunni che, zaino in spalla, attendono il bus. È bastato uno sguardo per capire che era lui. Lo chiamiamo Hasan, è bengalese. Dice di avere circa vent’anni. Non conosce con esattezza la sua data di nascita. Parla italiano stentato e ogni sua parola porta il peso di un viaggio lungo e complicato, iniziato in Bangladesh e terminato con lo sbarco sulle coste di Lampedusa, attraverso Dubai, Egitto, Libia.

Peso sulle spalle

La sua odissea ha avuto un costo elevato, non solo fisico ed emotivo, ma anche economico. «Ogni mese la mia famiglia deve pagare 600 euro. Hanno ipotecato la terra per farmi partire». Di più: suo padre, contadino da sempre, non può più lavorare a causa di un ictus e sua madre, casalinga, fatica a mandare avanti la famiglia da sola. Hasan, così piccolo e fragile, ha un enorme peso sulle spalle: ha una sorella maggiore prossima al matrimonio. E una più piccola. È lui ora il capofamiglia. «Devo lavorare» dice. In Italia è solo e i contatti con i genitori sono sempre più rari. «Ora è tanto che non li sento», confida con un velo di nostalgia. La sua solitudine si mescola alla responsabilità di non deludere chi è rimasto in Bangladesh.

Attualmente risiede in uno dei Cas della provincia: «Facciamo lezioni di italiano, ma la qualità è scarsa» racconta. E rivela di lavorare per un ristorante cinese, sei giorni la settimana. Lo stipendio? Non ha certezze: nè se nè quanto verrà retribuito. Ma è orgoglioso del suo lavoro: «Così posso mandare soldi a casa». Il posto di lavoro lo ha trovato grazie ad un connazionale conosciuto all’interno della moschea che frequentava durante il Ramadan. Ogni giorno, passa ore tra la cucina e la sala, dalle 10 del mattino fino alle 15, per poi riprendere dalle 17 alle 23. «Non ho firmato contratti – dice – non mi hanno dato nessun documento, ma hanno preso i miei». Hasan sa di non avere alternative: «Loro parlano mezzo cinese e mezzo italiano, comunichiamo a gesti», aggiunge con un sorriso amaro.

I desideri

Nonostante le difficoltà, Hasan non si arrende. Il suo desiderio più grande è quello di trovare un lavoro vero, stabile. E di imparare l’italiano. Oggi o studia (male) o lavora (senza alcuna certezza). E la barriera linguistica gli sembra insormontabile. Hasan è uno dei tanti giovani che hanno lasciato il proprio paese inseguendo un sogno. Non si aspettava le difficoltà incontrate lungo il cammino. Mentre parla rigira tra le mani un fazzoletto bianco. È agitato. Poi – grazie alla mediazione di un suo connazionale che fa da interprete – si rasserena e regala qualche timido sorriso. Gli raccontiamo del progetto dell’Hub della conoscenza, della scuola intensiva per imparare italiano e poi per apprendere un mestiere. Non ci pensa più di tanto: «Quando cominciamo?»

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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