Addio al notaio Mauro Barca, irreprensibile professionista d’altri tempi

«L’educazione ricevuta dai miei genitori è stata molto severa, specialmente mia madre era rigida e autoritaria. La divisione dei ruoli in famiglia era netta e impensabile il poterla mettere in discussione. I valori da rispettare erano: fare sempre il proprio dovere, essere sinceri, rispettare gli altri, essere riservati e mantenere sempre la compostezza». In queste parole, scritte dalla sorella Liliana, impegnata nell’Udi, nel febbraio 2011, si riflette esattamente quella che è stata la vita di Mauro Barca, nato nel settembre del 1928 e giunto a Brescia nel 1956 dopo aver ottenuto la nomina a notaio, mancato domenica sera.
Chi era
Il notaio Barca, quinto di sette fratelli, era una figura di un’altra epoca, cresciuto in anni difficili, educato in una famiglia rigorosa nella Roma del fascismo e della guerra. Nella nostra provincia, di cui non conosceva nulla e nessuno, la guerra era finita da undici anni ed i primi segni del boom economico iniziavano a vedersi. In questo contesto ha sempre ritenuto di porsi come una figura irreprensibile dimostrando il contrario a chi a Brescia lo riteneva tale in quanto estraneo. Un'estraneità esclusivamente limitata alla comprensione del dialetto, come quella sera in cui, in una trattoria per cena, l’oste chiese al notaio «ölel argota?» che rispose con «no grazie» , incomprensione subito ripetutasi quando l’oste cortesemente chiese ancora «argutina alüra no?». Dialogo che venne riaperto solo con l’aiuto di un altro cliente.
E proprio la non conoscenza delle persone e dei luoghi in cui era stato mandato sono state il fondamento dei principi e del rigore che ne hanno caratterizzato l’intera vita sociale e professionale, in cui mai ha derogato al suo ruolo e neppure si sarebbe permesso di derogare nel momento in cui il sigillo notarile veniva rinchiuso nel cassetti e il notaio sarebbe andato in vacanza.
La famiglia, le passioni e il lavoro
Padre di due maschi (Fabio e Gianluca), cresciuto in una famiglia di origini anglicane poi convertitasi al cattolicesimo e fortemente legata ai principi democratici maturati durante gli anni del fascismo, sposato con la signora Annamaria Nuvoloni, romana anch’ella, Mauro Barca, laureatosi in giurisprudenza a Roma, era appassionato di rugby, sport che aveva praticato vincendo nel 1948 a Roma con la Stella Azzurra il campionato italiano giovanile.
A Brescia aveva continuato a coltivare la passione per la montagna, scoprendo lo sci frequentando il Brixia Sci e allacciando amicizie con i dirigenti d’un tempo Ledizzi, Sgorbati, Lino Sabbadini, Beppe Pellegrini o il presidente Piero Massardi, divenendo consigliere della società ed entrando in sintonia con la dirigenza. Uno dei fratelli del notaio era Luciano Barca, in giovinezza guardia marina sui sommergibili della Decima Mas, che dopo il congedo lasciò il movimento cattolico democratico iscrivendosi al Pci di cui è stato economista di riferimento. Con un elevato senso del dovere, Mauro Barca aveva scelto di rientrare a Brescia per esser presente al Teatro Grande ad una convention di amministratori pubblici sull’idrovia Ticino- Mincio, anche se quel giorno a Roma si celebrava il funerale della madre; tra i lavori svolti, aveva firmato l’atto costitutivo della trasformazione dell’Asm da municipalizzata in spa, lavorando con Renzo Capra e Luciano Silveri; tra i clienti dello studio di via Moretto, citiamo Cembre, Officine Sangiacomo, Pisa Costruzioni e numerose piccole medie imprese che negli anni sarebbero diventate grandi.
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