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Triva, industriale integralista

La sua Copan è un'azienda biotecnologica che ha chiuso con un utile netto di 9 milioni. «Ma l'innovazione scientifica ha a che fare più con l'esperienza che con la logica».
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BRESCIA
Per come la vede lui, 'sta storia della crisi mondiale e italiana è una vicenda positiva; ci vede - in questo rimescolarsi dei mercati, nelle batoste registrate e quindi nel ravvedersi di alcuni suoi colleghi nella sperabilmente duratura convinzione che la finanza sia una sorta di cancro per le imprese - lui ci vede, si diceva, "il bello della crisi", quel che di buono - sperabilmente, per l'appunto - ci resterà addosso: ovvero la convinzione che il bene, il buono e il business vero nasce dentro le fabbriche. «Sono un industriale integralista», dice. Lui è Daniele Triva, ingegnere chimico, poco meno di un cinquantino ma portato con scioltezza invidiabile. Lui e la sorella hanno fondato e mandano avanti la Copan Italia, azienda che opera nel campo delle biotecnologie e che nel 2009 - giusto per dar da subito la dimensione - ha fatturato più di 53 milioni conseguendo un utile netto di 9 milioni: un record, facendo cose che hanno fatto diventare quest'azienda della zona industriale dietro l'Eib un leader mondiale nella sua nicchia, ovvero dei dispositivi (che potremmo anche definire tamponi) per il prelievo e la conservazione di campioni microbiologici. Avete presente le provette per far gli esame del sangue o della pipì? Ecco quelle cose lì. E tante, tante altre cose che solo un industriale integralista poteva immaginare.
Perché mai la crisi è bella?
È interessante questo punto di vista, perlomeno inconsueto: perché mai la crisi è bella? «Perché la crisi ci sta costringendo ad essere bravi a coniugare tante competenze. I mercati in regressione impongono specializzazioni e, magari, anche numeri piccoli. Il modello americano è andato in crisi non solo nella finanza, ma anche nell'industria dei grandi numeri. E invece - dice Daniele Triva - qui da noi eravamo già allenati a numeri più contenuti ed in aggiunta abbiamo qui, nel raggio di pochi chilometri, specializzazioni che gli americani si sognano».
...fare all'ombra dei nostri campanili...
Viene in mente quel che diceva Carlo Maria Cipolla, economista e storico e divulgatore bravo come pochi quando, tanti anni fa, delineava quel che, a parer suo, doveva essere una sorta di "Manifesto" delle imprese italiane: «Fare, all'ombra dei nostri campanili, cose belle che piacciono al mondo». Ecco: modificate, o aggiungete, un "cose utili" e avete l'indicazione strategica alla quale possiamo affidarci: rivalutarci per quel che siamo sempre stati: eccellenti artigiani.
Il Triva questa indicazione è da un po' che la segue preceduta dall'idea enunciata agli inizi: essere sempre industriale old-style anche in un settore avanzato. Lui la mette così: «C'è l'idea che i processi di innovazione scientifici siano logico-deduttivi. La mia esperienza è che sono, invece, empirico-induttivi, quindi bisogna stare con le mani nella materia altrimenti è difficile fare ricerca e innovazione» che è come dire, per tornare alle nostre eccellenze culturali artigiane, che "fare è pensare". E che quindi i laboratori Copan di biologia molecolare, di batteriologia e di virologia hanno una loro ragione se poi - sotto, nelle fabbriche - le presse, le macchine di confezionamento, i torni (perché qui dentro le macchine se le fanno) riescono a mettere su plastica quel che là sopra hanno ideato. E questo impone ricerca e applicazione tecnologica costante. È un lavoro lento - «ma le fabbriche Ogm non hanno futuro» - «molto old economy, che va fatto per anni per fare una produzione come noi facciamo 7 giorni su 7 per 24 ore», commenta ancora Triva mentre mi fa entrare nel «Futura», l'incubatore. Ma di questo se ne riparlerà nei prossimi giorni.

Gianni Bonfadini
g.bonfadini@giornaledibrescia.it

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