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Se il pastore torna ad avere un volto giovane

Segnali di un recupero di antiche pratiche che tentano di contrastare lo spopolamento delle zone di montagna
Un giovane pastore con il suo gregge sulle Prealpi bresciane - © www.giornaledibrescia.it
Un giovane pastore con il suo gregge sulle Prealpi bresciane - © www.giornaledibrescia.it
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Regione Lombardia ha organizzato nelle scorse settimane un convegno sul pastoralismo. Il tema rievoca richiami antichi, ma con risvolti che si declinano al presente e guardano verso il futuro. E’ stato infatti evidenziato, in una delle relazioni, che c’è un numero crescente di giovani che mostrano interesse per la pastorizia e per l’agricoltura come scelta di vita, e verso il recupero di pratiche tradizionali, con progetti che si ancorano ai territori delle aree interne e contrastano, soprattutto in alcune zone di montagna, la tendenza allo spopolamento. Proprio le aree interne ufficialmente definite come territori rurali distanti dai principali centri di offerta di servizi, tra le quali rientrano ampie porzioni della zona settentrionale della provincia di Brescia, accolgono una ricchezza di risorse agropastorali.

Chi pratica l’escursionismo si regala la possibilità di incontrare i pastori al lavoro nelle valli, in un periodo di attività che può allungarsi o accorciarsi di anno in anno per adattarsi alle condizioni ambientali, alla presenza di neve e alla disponibilità di erba. Al termine della stagione il bestiame viene ricondotto dai pascoli in quota verso le aree di pianura, secondo la tradizione della transumanza che pone le sue radici nella preistoria, e utilizza le vie dei tratturi lungo le quali si muovono anche i camminatori. Dal 2019 l’Unesco ha inserito la transumanza nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale, riconoscendo il valore dei suoi riti ciclici e delle sue feste, e delle relazioni vicendevolmente rispettose tra uomini, animali ed ecosistemi. Il movimento dei pastori asseconda ritmi ancestrali e propri della cultura contadina. Il nomadismo è un aspetto caratterizzante della loro vita, come si riflette nel vocabolario «gaì», il gergo dei pastori, che contiene molti più vocaboli riferiti agli spostamenti di quelli riferiti alla vita stabile.

L’emigrazione che coinvolgeva i pastori transumanti nelle zone alpine si è in gran parte ridotta con il dissolvimento della civiltà rurale, fenomeno avviato attorno alla metà dello scorso secolo in coincidenza con l’affermazione dell’industria, l’occupazione di ampie zone di pianura destinate all’agricoltura intensiva e la diffusione dei divieti al pascolo vagante. Sono segni dei cambiamenti della società. Il «gaì» stesso coglie segni e utilizza metafore, metonimie e paronimie. La panna ad esempio viene definita «mostùs de spadem», letteralmente «la parte morbida del latte», a richiamare una dolcezza della quale abbiamo tutti bisogno. Lezione di pastore.

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