Perdonare spesso e non dimenticare mai

Dopo cinquecento anni, papa Leone XIV e re Carlo III hanno pregato insieme. Si è trattato di un evento di riconciliazione importante, sul quale si è però incastrata la corona di foglie nere indossata dalla regina Camilla. Un dettaglio che ha scatenato una caterva di commenti, dolci come il sale nel caffellatte. Sugli spalti dei Social si sono alzati plotoni di «arbiter elegantiarum» pronti a giudicare, senza eufemismi né mezze misure. Insomma, una raffica di critiche irriverenti si è abbattuta su una donna, ancora oggi, colpevole di non essere più giovane e, per molti, di avere interrotto una favola.
Eccessivi gli aggettivi utilizzati, e non certo lusinghieri, per i quali nessuno ha sentito la necessità di aprire il vocabolario per trovare una giustificazione, com’è accaduto di recente con la parola «cortigiana».
Al di là degli inutili confronti con la tiara di diamanti dell’ineguagliabile regina Elisabetta o del semplice – quanto elegantissimo – velo di pizzo nero indossato da Lady Diana, in un’analoga circostanza, gli opinionisti più impertinenti hanno paragonato il creatore della corona dark al Cappellaio Matto di Alice nel Paese delle Meraviglie.
E, dato il periodo, non è mancato neppure il collegamento con Halloween, a dimostrazione che, oltre ai burloni, in giro ci sono anche dei gran villani.
I detrattori di Camilla talvolta dimenticano che lei, pur avendo contratto un matrimonio morganatico, è diventata regina e, come tale, va considerata.
Nel web lo scambio fra il dottor Jekyll e il signor Hyde è velocissimo: la sensazione di essere invisibili trasforma il rispetto in una lampadina da accendere o spegnere a seconda delle persone da illuminare. In ogni testa alberga un critico che spesso dimentica di essere portatore di punti di vista, non di assolute verità. Ai processi sommari celebrati sul web calza alla perfezione una frase di Sarah Bernhardt. L’attrice è scomparsa da oltre cent’anni, ma le sue parole risultano di un’attualità sorprendente: «Dovremmo odiare molto raramente, perché è molto faticoso. Dovremmo restare indifferenti a molte cose, perdonare spesso e non dimenticare mai».
Tutti abbiamo lampanti dimostrazioni di come l’antipatia, alla fine, sia soddisfacente quanto succhiare un chiodo. Sull’indifferenza invece dobbiamo lavorarci tutti, poiché la sensibilità si comprende solo con la pratica.
Quanto al perdono, lo dice la parola stessa: per dono. Si dovrebbe regalare - e non solo a chi lo merita.
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