Al femminile

Non è vero, ma ci credo

Una riflessione su tradizioni e riti partendo da un aneddoto raccontato a Matera
Uno scorcio di Matera - Foto Unsplash
Uno scorcio di Matera - Foto Unsplash
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In un residence dentro ai Sassi di Matera le camere riadattate sono le grotte nelle quali la gente ha abitato fino agli anni Cinquanta. Sul letto la cameriera ha lasciato una pergamena dove è raccontata la storia di Maria, una donna sola, poverissima e dall’età indefinibile considerata «la nonna» di tutto il vicinato. Ha vissuto della carità delle famiglie che condividevano lo stesso cortile, ricambiando l’aiuto ricevuto con piccoli lavori domestici e con i gesti taumaturgici dell’affascino.

Lei conosceva il rimedio per ogni malanno, curava i vermi e le febbri dei bambini, guariva dai dolori delle coliche ma sapeva anche far passare la paura e i cattivi pensieri. Quando la chiamavano riempiva di acqua un piatto fondo, versava qualche goccia d’olio e recitava antiche formule per togliere la malasorte o, se serviva, per fare innamorare.

La cosa mi intriga, chiedo spiegazioni alla gerente di quell’albergo scavato nel tufo e affacciato sul parco della Murgia dove un tempo non troppo lontano uomini e animali convivevano nella stessa grotta in condizioni igieniche precarie. Nel 1948, Palmiro Togliatti, vedendo quella miseria disse che era una «vergogna nazionale».

La signora mi racconta la storia del Sasso Baresano e della povertà onesta e asciutta di cui i più anziani ancora si vergognano e i giovani adesso ne vanno fieri. Parla della tradizione dell’affascino che ha il sapore del pane condito con l’olio e punge come le spine dei fichi d’india. Si tratta di una pratica molto antica compiuta a scopo terapeutico, tramandata di madre in figlia nella notte di Natale. «Anche mia nonna mi faceva l’affascino quando non stavo bene. Non ci crederà, ma il male di testa o di pancia mi passava». Chiedo: «Anche lei lo sa fare?». Scuote la testa e dice: «No, mia nonna non l’ha trasmesso a nessuna».

In quel momento penso a una donna di origine calabrese che pur vivendo da oltre cinquant’anni a Brescia continua a togliere il malocchio ai suoi familiari. Recita parole incomprensibili, sbadiglia e poi sputa dalla finestra per liberarsi dal malessere.

La gente dice di non credere ai riti propiziatori ma viene contraddetta dai gesti scaramantici compiuti, di nascosto, in attesa di eventi importanti. Ogni tifoso ne completa almeno un paio prima di un evento sportivo, ripetendo la frase di rito: «Non è vero, ma ci credo!».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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