Al femminile

Domandare è lecito, come pure non rispondere

Si continua a porre principalmente alle donne domande sulla loro maternità, quando è una scelta del tutto personale
Ragazze a un pranzo di famiglia
Ragazze a un pranzo di famiglia
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Anche quest’anno molti giovani preferendo la «Pasqua con chi vuoi» hanno disertato i pranzi familiari. Le ragazze, se non altro, hanno schivato gli interrogatori dei parenti che si interessano affettuosamente dei fatti altrui. Domandare è lecito dice il proverbio, ma alcuni faticano a rispondere con cortesia sentendosi chiedere per l’ennesima volta quando sarà celebrato il loro matrimonio.

C’è sempre un’amorevole zia che fra il dolce e la frutta cala la fatidica frase, utile come un carico di bastoni quando la briscola è denari: «Pensi di avere presto un bambino?». È quasi impossibile sfuggire alla bonaria invasione della cugina che sembra controllare la posizione delle lancette del vostro orologio biologico, quasi l’aveste stampato in fronte.

Di solito gli investigatori familiari prima dell’interrogatorio prendono un giro largo, fanno riferimenti generici all’inverno demografico e, ricordando i negozi per bambini chiusi, sospirano. Poi, mostrando una certa comprensione verso i cambiamenti sociali, ammettono l’allungamento dei tempi dovuti allo studio e all’instabilità economica, ma in cuor loro pensano che sia stata la perdita di alcuni valori a indebolire i legami e ad allargare le relazioni.

Sui figli però non demordono e somministrano il loro sondaggio sulla fertilità come fosse un modulo Google dove selezionare le opzioni: «Sì, no, forse».

Bisogna ammettere che subire una serie di interrogazioni su argomenti intimi è una cosa tremenda. È sconsigliato farlo dal galateo e dalla sensibilità, poiché diventare madri non è sempre una scelta ma un fatto privato che matura come i frutti sull’albero. Per me, almeno è stato così.
Da primipara attempata ricordo ancora il disagio provato nel sottrarmi all’indagine uterina, seppure benevola. Ho quindi imparato a eludere l’argomento «figli» facendone una questione esclusivamente di rispetto. Questo è un modo elegante anche per non essere considerati dei boomer indiscreti.

Sottolineo che l’invasione della riservatezza è perlopiù esercitata sulle donne, come se la volontà o il desiderio di procreare possa essere una questione prettamente femminile. Qualcuno ancora pensa che la mancanza di un figlio renda in qualche modo incompleti, ma non si chiede ai maschi se si sentono meno uomini se non diventano padri. Solo di rado si domanda a un uomo se la sua realizzazione passa attraverso la paternità.

Su questo argomento risulta sempre inutile fare delle domande, in effetti «le migliori risposte non ci vengono date dalle persone, ma dal tempo».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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