Il mio GdB: «Mio padre, inviato a Berlino negli anni Sessanta»

Tra i messaggi arrivati in redazione per l’iniziativa «Il mio GdB», lanciata in occasione dell’80esimo del quotidiano, uno è risultato per noi davvero speciale. È quello della signora Donatella Cavassori, che ci restituisce un frammento della nostra storia di redazione. E al contempo ci riporta ad uno degli eventi più rilevanti della storia del Novecento, raccontata dalla nostra testata.
«Il Giornale di Brescia è stato presente dal 1959 tutti i giorni in casa mia e lo è tutt’oggi – scrive la lettrice –, ma soprattutto si lega al ricordo di mio padre, Ermes Cavassori, che ne fu redattore (negli anni ’60-’70). Allora ero una bambina che veniva portata dal papà in redazione e in tipografia (nella sede nuovissima per l’epoca di via Saffi, in città, ndr) per una consuetudine tipica del giornalismo di quei tempi: correggere a mano le bozze dell’articolo che sarebbe stato pubblicato sul giornale dell’indomani. Di tale visita ero particolarmente orgogliosa e felice. Mi piaceva quel mondo e incontrare altri giornalisti, colleghi di mio padre: c’erano Egidio Bonomi, Bruno Marini, Luciano Mondini... E il direttore Vincenzo Cecchini, che in redazione chiamavano affettuosamente "zampa" per la consuetudine che aveva di fermare sulla scrivania con una mano i fogli di ogni articolo, così da poterlo controllare di persona prima che andasse in pagina».
Agli esteri
«Ricordo quando nel ci trasferimmo a Brescia da Verona, dove prima il papà lavorava sempre come giornalista» racconta la signora Donatella. Negli archivi, il più risalente degli articoli a firma di Cavassori, friulano di natali e laureato a Padova in Scienze politiche, è datato 7 aprile 1959 (quando il GdB non aveva ancora 14 anni...): «Finestra aperta sul Medio Oriente». Tema affrontato non per caso: «Papà si occupava proprio di politica estera, tanto che nel 1961 il giornale lo mandò come inviato a Berlino» conferma la signora Donatella.

Non un anno né una situazione qualsiasi. Erano quelli giorni cruciali per le sorti della città e della Germania, come pure per gli interi assetti geopolitici globali del secondo dopoguerra. In quelle ore, più che mai, si cristallizzavano gli schieramenti della Guerra fredda tra Paesi occidentali (filoamericani e legati alla Nato, per dirla sommariamente) e Paesi del blocco sovietico. Un quadro rimasto inalterato per quasi 30 anni, fino alla caduta di quello stesso Muro di Berlino sul finire del 1989. Mandare un inviato – per una redazione che contava allora in tutto 16 giornalisti – era scelta che testimoniava la percezione dell’eccezionalità degli eventi.
«Ancora un filo di speranza per Berlino – isola occidentale in un mare comunista» è il titolo del servizio dell’8 ottobre, che dà conto degli incontri frenetici fra il presidente americano John Fitzgerald Kennedy e il ministro degli esteri sovietico Andrej Andreevic Gromyko da un lato e quelli tra l’allora senatore e poi vice presidente americano Hubert Humphrey e il cancelliere di Bonn, Konrad Adenauer, dall’altro. Obiettivo scongiurare la definitiva ripartizione di Berlino in due metà, introdotta de facto proprio con quel muro eretto nottetempo tra il 12 e il 13 agosto. Una situazione che anche Jfk dovrà accettare come il male minore alla fine della crisi di ottobre che vide i carri armati di Usa e Urss schierati gli uni contro gli altri al check-point Charlie.

I ricordi della bambina di allora sono comprensibilmente sfumati: «So che papà stette via a lungo». Lo confermano le date dei servizi apparsi a firma di Cavassori in quelle concitate settimane dell’autunno 1961. Uno di questi racconta persino di come lo stesso Cavassori avesse rischiato di essere catturato e trattenuto per ore a Berlino Est dai Vopos, le temute guardie di confine della Ddr, sorte che toccò ad altri due inviati che erano con lui («Baldassarre Molossi, direttore della Gazzetta di Parma, e Giancarlo Zanfragnini, capo dei servizi esteri del Resto del Carlino, assieme ai quali stiamo compiendo un viaggio di osservazione»). Gli articoli di quei giorni – introdotti dalla formula «nostro servizio particolare» in uso in quegli anni per rimarcare che non si trattava di contenuti ripresi dalle agenzie di stampa – raccontano anche dei tentativi di cittadini di Berlino Est di fuggire nei modi più fortunosi oltre cortina.
La musica

Nella quotidianità di Cavassori – ricordato dai colleghi anche per la consuetudine di indossare il farfallino – ampio spazio aveva poi la musica, che aveva coltivato sino al diploma di conservatorio in pianoforte e violino. «Il papà – conferma la figlia – aveva una grande passione per il mondo discografico, al quale dedicava una rubrica nella pagina degli spettacoli». Si trattava di «Discoteca»: centinaia le uscite conservate in archivio a partire dal 1965. E il format piacque: tanto che gli valse anche un riconoscimento alla quarta edizione del Salone internazionale della Musica di Milano: era il 1970. Solo due anni più tardi Cavassori si ammalò e la sua carriera si interruppe anzitempo, ma non collaborazioni e rubrica cui volle tener fede sino a tutto il 1980, due anni prima della prematura scomparsa a soli 59 anni.
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