Medicina di genere: la differenza di essere donna

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Scrivere un articolo per sottolineare che donne e uomini non sono uguali potrebbe risultare addirittura imbarazzante, per la sua ovvia evidenza. Tuttavia, la differenza di genere rispetto ai processi di salute e di malattia viene spesso sottovalutata. Per molto tempo, essa è stata considerata un fattore secondario, se non addirittura ignorata, nello sviluppo dei farmaci e nell’individuare trattamenti o forme di prevenzione di alcune malattie. A dimostrazione di ciò, una tradizione di studi clinici effettuati prevalentemente su maschi, giustificata dal fatto che nelle prime fasi della ricerca è necessaria una massima cautela proprio per la natura stessa della donna e del suo ruolo riproduttivo.

Oggi, tuttavia, sta maturando una nuova sensibilità. Sulla base di indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità e, nel nostro Paese, dell’Istituto superiore di sanità e dell’Agenzia italiana del farmaco, si stanno concretizzando sforzi precisi che permettano di comprendere, e superare, i molteplici fallimenti diagnostici e terapeutici registrati in passato nei confronti delle donne, proprio per aver sottovalutato la differenza.

Ecco, dunque, la «Medicina di Genere» - frontiera avanzata della Medicina di precisione - branca recente delle scienze biomediche che ha l’obiettivo di riconoscere e analizzare le differenze derivanti dal genere di appartenenza sotto molteplici aspetti: a livello anatomico e fisiologico, dal punto di vista biologico, funzionale, psicologico, sociale e culturale e nell’ambito della risposta alle cure farmacologiche. Temi che vengono approfonditi anche in «The Italian Journal of Gender-Specific Medicine», la prima rivista scientifica italiana dedicata alla Medicina di genere, edita da «Il Pensiero scientifico» con il contributo di Novartis (www.gendermedjournal.it).

Alcune patologie dolorose (per esempio l'emicrania, la cefalea muscolotensiva, l'artrite reumatoide, la fibromialgia) sono molto più frequenti nella donna che nell'uomo, al contrario di altre sindromi come la cefalea a grappolo) che sono più diffuse nel sesso maschile. Le donne sono in genere capaci di descrivere meglio la sensazione dolorosa, riconoscendo le differenze tra i molteplici tipi di dolore, presentano in generale una soglia più bassa e una minore tolleranza al dolore e denunciano livelli di dolore più severi, più frequenti e di maggiore durata in molti tipi di dolore cronico.

La reazione di fronte al dolore. In presenza di uno stimolo doloroso, il cervello di un uomo si attiva infatti in modo diverso da quello di una donna: quest’ultimo mostra un’attività principale nelle regioni limbiche, dove sono elaborate le emozioni, mentre in quello maschile si attivano di più le regioni cognitive. Sebbene le donne provino più dolore degli uomini e lo incontrino più spesso nella loro vita (o forse proprio per questo motivo, essendo abituate a mestruazioni dolorose, travaglio e parto), hanno imparato meglio a farvi fronte con strategie preventive, cercando più degli uomini, nel caso di dolore cronico, il supporto sociale, mettendo maggiormente in atto comportamenti palliativi per gestire la sintomatologia.

Le ragioni di queste differenze vanno cercate in un complesso di fattori. Dal punto di vista anatomico, utero e vagina sono una via di accesso per gli agenti patogeni in grado di provocare infezioni che possono rendere più sensibile l'intero organismo agli stimoli dolorosi. Anche la genetica ha un ruolo, poiché le donne con una mutazione del gene sul cromosoma 16 sono più sensibili a farmaci come la pentazocina, che agisce sui recettori k degli oppioidi. Ma, ancora una volta, sono soprattutto gli ormoni a determinare la differenza: la maggiore sensibilità delle donne al dolore è dovuta alla presenza degli estrogeni, che influiscono sul sistema nervoso rendendolo più reattivo agli stimoli, e dunque anche a quelli dolorosi. Analogamente, la minore sensibilità degli uomini sarebbe merito del testosterone, che ha un effetto analgesico. Sebbene, poi, le donne consumino più antidolorifici, i medici prescrivono oppioidi più frequentemente, e con dosaggi maggiori, ai pazienti maschi e sembrano essere più restii a somministrare analgesici alle donne.

Farmacologia di genere. Le donne sono le principali consumatrici di farmaci: ne prendono mediamente circa il 40% in più rispetto agli uomini, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 15 e i 54 anni. Eppure, una buona parte delle molecole (come ad esempio alcuni psicofarmaci) non è stata sperimentata sulla popolazione femminile. Le ragioni di questa esclusione sono molteplici, ma la principale può ricondursi all'intento di evitare il rischio di esporre una donna in età fertile a possibili effetti sconosciuti. Non va inoltre sottaciuto il timore che durante lo studio una donna possa rimanere incinta e che il feto possa riportare delle malformazioni. Il risultato di questa, per certi versi, ragionevole riluttanza è che alcune terapie nel sesso femminile possono risultare meno efficaci o, nel peggiore dei casi, più pericolose: va infatti considerato che le donne hanno una maggiore frequenza (quasi il doppio) di reazioni avverse, quegli «effetti collaterali», spesso non piacevoli e a volte anche gravi, che avvengono nell’organismo ogni qualvolta si assume un medicinale.

Cosa dicono le leggi. Nel 1993 la Food and Drug Administration (ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici) ha pubblicato le Linee Guida per lo studio e la valutazione delle differenze di genere nella valutazione clinica dei farmaci, nelle quali si esortava, non solo all’inclusione delle donne nelle sperimentazioni, ma anche all’analisi dei dati in un’ottica di genere. In Italia, nel novembre 2008, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha pubblicato il documento «La sperimentazione farmacologica sulle donne», approvato dal Consiglio nazionale per la Bioetica. Testo nel quale si riconosce che «nell’ambito della sperimentazione clinica dei farmaci le donne risultano essere 'soggetti deboli', o comunque non oggetto di adeguata considerazione in ordine alla loro specificità sia in senso quantitativo (numero di donne arruolate rispetto al numero di uomini) sia in senso qualitativo (analisi dei dati rispetto alla differenza sessuale)».

Pillole azzurre, pillole rosa. Tra uomini e donne esistono differenze che influenzano il metabolismo dei farmaci, come, ad esempio, il fatto che il corpo femminile abbia una percentuale di tessuto adiposo superiore del 25% circa rispetto al corpo maschile. Questo fa sì che nelle donne i farmaci lipofili (cioè solubili nei grassi) tendano ad accumularsi in questo tessuto. Poiché, invece, nell’organismo delle donne è presente una quantità inferiore di acqua, i farmaci idrofili (cioè solubili in acqua) si distribuiscono meglio nell’organismo maschile. Le donne, poi, pesano in media il 30% meno degli uomini. Poiché il dosaggio dei farmaci non sempre viene calcolato in relazione al peso, può succedere che le donne assumano una maggiore quantità di principio attivo rispetto agli uomini. //

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