Cultura

Venditti naufraga nelle correnti dell’amore

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Un elogio - l’ennesimo - dell’amore, sempre nella sua forma più dolorosa, triste. Relazioni finite, ricordi mai sopiti che fanno ancora male. Qualche strizzata d’occhio al mercato più giovane, il giusto numero di possibili nuovi inni da stadio (Olimpico, of course), e un paio di pezzi che si sollevano dalla media, giusto a ricordare che, piaccia o meno, un po’ di storia della musica leggera italiana l’ha scritta pure lui.

Antonello Venditti approda a «Tortuga», suo nuovo disco di inediti, disegnando una rotta che non riesce (o non vuole) discostarsi più di tanto da quelle che gli hanno regalato soddisfazioni a cavallo tra gli ultimi quattro decenni. L’avvio del disco è un filotto di invocazioni sentimentali, dove l’ampiezza della melodia è penalizzata, nel caso di «Non so dirti quando», da un eccesso di vibrato nella voce, talmente presente da sfiorare la caricatura. A essere cantate sono l’assenza, il distacco non accettato e inaccettabile («Tienimi dentro te»), senza smarcarsi da certi vecchi cliché.

La sferzata la regala «I ragazzi del Tortuga», tra «sogni di democrazia» e reminiscenze di contestazioni che furono. E serve un canto arrabbiato per provare a riportare indietro le lancette del tempo.

«Ti amo inutilmente» è un pop giovanilistico che già si immagina scandito dal suo pubblico, «Attento a lei» è a metà del guado tra danzerecce tentazioni e voglia di melodia. «L’ultimo giorno rubato» è, finalmente, una ballata densa e di spessore, dove Antonello si esprime da par suo, prima di accomiatarsi con l’orchestrale «Tortuga», con la quale si ritorna sui banchi del Giulio Cesare tra versioni di greco e lenti da ballare stretti stretti, «passi lenti e mani incoscienti». È Venditti, ascoltare o lasciare. ramp

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