Aids, le ultime sfide dei farmaci

Francesco Castelli: «La ricerca biomedica ha messo a punto terapie efficaci»
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La ricerca biomedica è riuscita a mettere a punto terapie efficaci che riescono ad evitare il passaggio alla fase più avanzata dell’infezione. La svolta nella storia dell’Aids si è avuta nel 1996, con l’introduzione della seconda fase di farmaci antiretrovirali. E, tuttavia, malgrado il rilevante impatto delle cure sulla mortalità, diminuita ovunque vi sia accesso alle terapie, il numero delle nuove infezioni continua a presentare un conto salato.

Non solo in Africa. I dati, diffusi nel dettaglio in occasione della Giornata mondiale dell’Aids che si è celebrata ieri, rilevano come in Europa dell’Est e in Asia centrale i numeri di nuove infezioni abbiano una preoccupante impennata. Facendo capire, nei lunghi anni di lotta ad un’infezione diagnosticata per la prima volta nel 1981, che una delle più grandi sfide della medicina moderna è la lotta alla disuguaglianza nell’accesso alle cure. E, dunque, alla salute. Soprattutto a fronte di alcune evidenze: i farmaci antiretrovirali, in grado di fermare la replicazione del virus Hiv, hanno radicalmente modificato la storia dell’Aids.

Farmaci che hanno permesso di cronicizzare la terapia perché, arrestando la riproduzione del virus, ne bloccano le sue azioni lesive nei confronti dell’organismo, a partire da quella del sistema immunitario che, in questo modo, viene messo nelle condizioni di recuperare in parte i danni già causati dalla presenza dell’Hiv. Tutto risolto, dunque? Nemmeno per sogno. Intanto, nel mondo, una persona su tre infetta da virus Hiv ha accesso ai farmaci antiretrovirali. Ovvero, 14 milioni su 45 milioni di malati che ne avrebbero bisogno. La ragione è una sola: i farmaci sono molto costosi - un ciclo di un anno per una persona va dai settemila ai diecimila euro - e la maggior parte dei malati vive in Paesi poveri.

Poi, l’efficacia dei farmaci - anche nei Paesi ricchi - è limitata da due diversi fenomeni.

Gli antiretrovirali sono inattivi su quella quota presente di virus «latente»: prova ne è il fatto che, se si sospende l’assunzione dei farmaci, si ha una immediata ripresa della replicazione virale.

Poi, il virus Hiv è dotato di una straordinaria capacità di mutare conformazione e struttura. Una caratteristica che gli permette sia di uscire indenne dall’azione degli anticorpi che l’organismo produce contro di lui, sia di sfuggire all’azione dei farmaci, sviluppando meccanismi di resistenza farmacologica che possono rendere gli antiretrovirali in parte, o del tutto, inefficaci.

L’introduzione della terapia antiretrovirale ha cambiato profondamente il quadro dell’infezione nei Paesi, come il nostro, in cui le cure sono accessibili. Cambiamenti che approfondiamo con il professor Francesco Castelli, direttore dell’Istituto malattie infettive dell’Università degli Studi di Brescia e dell’Ospedale Civile.

È vero che i farmaci hanno permesso di cronicizzare la malattia, a patto che vengano assunti ogni giorno e per il resto della vita, perché da infezione di Hiv non si guarisce. La sieropositività consente di avere una buona qualità di vita, ma questo richiede un’aderenza totale alla terapia. I farmaci devono essere assunti a tempo illimitato ed in associazione tra loro. In questo modo, il virus è continuamente esposto a dosi potenti di molecole e non ha il tempo di «imparare» una resistenza farmacologica. L’infezione da Hiv, dunque, si deve considerare al momento curabile, ma non guaribile. E la messa a punto di vaccini terapeutici o preventivi è ancora lontana.

Malgrado la disponibilità di terapie avanzate, continuano le infezioni. Solo nel Bresciano nell’ultimo anno le nuove diagnosi sono state più di 150. Come lo si spiega?

La diminuzione dei casi di Aids è espressione della capacità delle persone di aderire alle terapie. I nuovi casi di Aids si verificano in gran parte perché la diagnosi di sieropositività viene effettuata tardi, quando è difficile recuperare i danni che il virus ha causato nel nostro sistema immunitario. Si stima che, a fronte di 100 persone che sanno di essere sieropositive, ve ne siano almeno venti che lo ignorano. E, dai dati dell’Istituto superiore di Sanità, emerge che nel 2013 la maggioranza delle nuove diagnosi di Hiv è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituiscono l’83,9% di tutte le segnalazioni eterosessuali.

La malattia si è cronicizzata, questo significa che una persona sieropositiva, se adeguatamente curata, può convivere con il virus anche quarant’anni. Con costi elevati per il sistema sanitario.

È vero, i farmaci hanno costi elevati ma, se si tiene conto dell’aspettativa di vita sociale e lavorativa quasi «normale» che le persone sieropositive possono condurre, prevenendo le complicanze, ritengo che si tratti di uno degli interventi costo-efficacia maggiormente appropriati.

E se, sul fronte delle terapie, negli ultimi vent’anni si sono registrati miglioramenti di rilievo, passando dalla necessità di assumere cocktails composti anche di venti compresse alle attuali due, con effetti collaterali più gestibili, anche su quello dei costi si sta andando verso una calmierizzazione. Alcuni farmaci ora iniziano a diventare generici e questo consente di ridurre costi già calmierati da precise indicazioni regionali.

Anna Della Moretta

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