Cultura

Banda Sacco western siciliano di metà ’900

AA

Ma c’era la mafia. Eccome, se c’era! Al principio degli anni venti Raffadali «è completamente cummannata dalla mafia che si è in tutto e per tutto sostituita allo Stato». E la mafia non poteva certo lasciare che la famiglia Sacco prosperasse contando solo sulla sua infaticabile voglia di sconfiggere fame e miseria. Non poteva e non voleva, ne sarebbe andato della sua stessa ragione di esistenza: mettere il pizzo su ogni attività e guadagno. A quel tempo i Sacco erano già al culmine della loro parabola ascendente e stavano consolidando il successo. La loro onestà sarà la loro condanna.

Tutto era iniziato nella seconda metà dell’Ottocento, con Luigi Sacco, picciotto «svelto e sperto» che lavora come «jornatante», mettendo a disposizione le sue braccia e la sua forza a chi lo chiama. Luigi viene preso a ben volere da Don Agatino, maestro riconosciuto nell’arte dell’innesto dei pistacchi. Sarà la sua fortuna: impara, supera il maestro e comincia a mettere da parte un po’ di roba, a mettere su famiglia. I figli, Salvatore e Vincenzo, partono per gli Stati Uniti e l’Argentina. Il terzo, Alfonso, vorrebbe studiare, ma la chiamata alle armi interromperà quel sogno. Riunita dopo la guerra, la famiglia Sacco è laboriosa e compatta...

E la mafia si mette di mezzo. Prova a imporre la sua logica, ma i Sacco non si vogliono piegare e si rivolgono all’ordine costituito, denunciano tutto ai carabinieri. Vogliono difendersi con la legge? Con la legge saranno sconfitti. La mafia confeziona una serie di tranelli, false accuse che spingeranno i Sacco alla latitanza e al banditismo. O almeno così faranno credere la mafia e la legge, involontari alleati nell’operazione diabolica.

Western in Sicilia: uomini onesti spinti ad essere «banditi», braccati, catturati e condannati. Una storia vera, ricostruita da documenti e memorie di famiglia. Camilleri ci stupisce con quest’ultimo racconto. Nell’inconfondibile sua lingua, nel suo ritmo narrativo che affabula e affascina, Camilleri racconta una storia drammatica con tono adeguato. Niente sarcasmo o ironia, niente divertimento in questa vicenda disperata e disperante. Offre invece il racconto essenziale, quasi oggettivo, di come la mafia abbia condizionato la vita di paesi, famiglie e individui. Smentita secca e diretta di quell’alone un poco romantico che si vorrebbe creare attorno alla mafia antica, che avrebbe avuto un suo codice d’onore. No, nessun onore e nessun alone! E risposta indiretta anche ad una polemica che era scoppiata qualche anno fa e che metteva Camilleri e il suo Montalbano nel mirino per un presunto non voler parlare del tema siciliano per eccellenza, Cosa Nostra, quasi come se la mafia fosse un luogo comune frusto. No la mafia c’era. Eccome, se c’era! E Camilleri la sa raccontare da par suo.
Claudio Baroni

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia