Cucina

Rosati, oltre la moda è cresciuta la tecnica

Da domani a domenica a Moniga torna «Italia in rosa». L’annata 2013 è stata favorevole
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Quando esplode una moda c’è sempre da avere qualche precauzione prima di seguirla, poi però non ci vogliono decenni perché gli enologi e le cantine imparino a fare bene.

Così, cancellati dalla memoria i rosati sgraziati (talvolta persino amarognoli, tal altra bianchi mancati e tal altra rossi con magra struttura e i profumi esagerati di una bibita), che pure ci è toccato assaggiare, ora ci possiamo rifare, perché il rosati italiani sono diventati generalmente buoni, ed anche il nostro Chiaretto, vino bandiera della Valtenesi, ha fatto passi avanti davvero importanti anche se è da valutare se sono stati sufficientemente solleciti per far fronte alla concorrenza che migliora a velocità siderale.

Le vendite vanno bene. Oggi in Italia i rosati sono il 9% del mercato del vino, ma in Francia si è già al 28% contro il 21% dei vini bianchi.

L’occasione per verificare se queste impressioni sono fondate è vicinissima. Già domani dalle 17 e poi sabato pomeriggio e domenica dalle 11 del mattino, si può ficcare il naso in un bicchiere di Chiaretto (o anche molto più di uno perché con 10 euro si assaggia quanto si vuole) a «Italia in rosa» di Moniga del Garda. La manifestazione è giunta alla settima edizione ed è la più adatta per certificare un bel ventaglio di progressi, il più evidente dei quali è proprio lo spessore di Italia in rosa. La lista dei vini partecipanti sembrerà un «parterre de rois» rispetto alla edizione «casalinga» di sette anni fa. I rosati da tenere d'occhio ci sono tutti (96 italiani e quattro francesi). Ed è bene che sia così perché se la manifestazione di Moniga è la prima, non è più la sola. I pugliesi che hanno inventato il Concorso Nazionale dei vini rosati (alla terza edizione ed ancora con poca gloria per i Chiaretti bresciani) hanno organizzato Rosexpo che si è tenuto a Lecce fino al 2 giugno.

Il 2013 non mancherà di stupire positivamente per due ragioni. Una buona fetta di merito va al Padre Eterno che si è fatto perdonare un 2012 tribolato. Ma una buona metà del merito va agli enologi ed ai produttori.

I produttori di vini rosati hanno capito anzitutto che le uve per il rosato vanno vendemmiate separatamente e in anticipo rispetto a quelle destinate al vino rosso. Una scelta abbastanza facile per i nostri che vinificano il Chiaretto svinando alla «alzata di cappello», meno facile dove il rosato era tradizionalmente prodotto per salasso con le stesse uve del vino rosso.

L’altra acquisizione importante è quella di non avere fretta. I rosati già pronti a Natale rischiano quasi sempre di essere un bouquet di profumi che lascia poi delusi al primo sorso. I migliori hanno capito (ma i francesi lo sapevano già) che una prolungata permanenza sui lieviti (qualche azienda dichiara quattro mesi) consente al vino di unire a profumi più contenuti una buona salinità e, se l'uva è adatta, persino una punta di spezia. Il vino inoltre risulta più serbevole (un Chiaretto 2009 non è più un'eresia). La mano più leggera nel dosare i solfiti fa il resto. Il profumo dei Chiaretti 2013 vira così più sull’agrumato, il tropicale e talvolta il balsamico, rispetto al tradizionale profumo di fragolina di bosco (che però molte aziende ripropongono).

Il problema di questa tipologia di vino è semmai che, sulla spinta della moda, si fanno dei rosati con quasi tutte le uve. A Moniga potrete assaggiare un bel campionario di Chiaretti bresciani sia Valtenesi che Garda classico con eccellenti campioni in entrambe le Doc. Ma accanto troverete il Bardolino Chiaretto che è invece prodotto con la Corvina, che spesso regala una punta di pepe nero. Si tratta di un concorrente temibile per i nostri perché è venduto ad un prezzo più basso ed è migliorato alla velocità del lampo.

L’altro competitore importante sono i rosati della Puglia che partono di solito da uve Negramaro, ma con una solida tradizione alle spalle. Per fortuna (rossi e intensi come sono) sono diversissimi dai nostri. Troverete anche gli abruzzesi a base di Cerasuolo d’Abruzzo che hanno ancora ampi margini di miglioramento.

Se volete divertirvi sappiate che troverete anche dei rosati toscani non necessariamente a base di Sangiovese (viene usato anche il Cabernet), poi c’è chi propone il rosato di Nebbiolo delle Langhe, ci sono i delicatissimi rosati nel Friuli che se la dovranno vedere con i Lagrein dell’Alto Adige. Ma non pedetevi gli «strani» rosati di Lambrusco.

Poi ci saranno i quattro vini dei maestri francesi di Provenza.

Infine ci sono gli spumanti. Il rosato spumante è ancora molto di moda spinto dalla crescita inarrestabile (anche all’export) dei vini frizzanti. A Moniga ci sarà una rappresentanza di Franciacorta rosati a base Pinot nero a vedersela (ma con nulla da temere) con i Pinot dell'Oltrepò. In termini di piacevolezza potrebbero però risultare vincenti i molti Chiaretti spumante, spesso rifermenti in autoclave, con (da scoprire), qualche grande rosato classico davvero di alto livello.

Gianmichele Portieri

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