Cucina

Qualità in crescita e numeri bassi

All’importante vetrina nazionale di Volta Mantovana si sono confermati consumi al minimo, ma esportazioni a livelli interessanti
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Non è affatto vero che con il fois gras o un formaggi erborinato come Roquefort o Gorgonzola ci vuole per forza il Sauternes, ma i numeri piccoli piccoli dei vini passiti italiani fanno pensare che la maggior parte di noi la pensi così. O più semplicemente è il vino dolce che non va. Alla fine di una cena è più comune che si punti su un superalcolico che su un Vin Santo. E dire che un aperitivo con un vino passito di buona freschezza e servito ben freddo potrebbe dare delle belle soddisfazioni. Una volta c’era il Marsala, ricordate? Va persino meglio all’estero dove il consumo di vino dolce è più abituale.

E dire che la tavolozza dei vini Passiti italiani ha delle sfumature infinite. Non c’è zona che non abbia la sua versione del vino locale passita. E non necessariamente con uve vocate a questa tipologia di vino, come potrebbero essere le Malvasie.

Di solito si tratta di vini con grande tradizione, ma nel campo c’è anche molta creatività dove prodotti astrattamente improbabili, finiscono poi per sorprendere positivamente.

Le osservazioni da fare sono almeno due e contrastanti. Rispetto a dieci anni fa i volumi prodotti sono sempre quelli e non sono calati per via di un po’ di esportazioni, ma la qualità e la piacevolezza del vini passiti è invece enormemente migliorata soprattutto sul fronte della bevibilità. In passato, salvo per alcuni vitigni dalla acidità naturale elevatissima (pensiamo alla veneta Vespaiola o alla piemontese Erbaluce), i passiti erano stucchevoli, troppo dolci e privi di acidità, cioè di freschezza.. Difficilmente facevano venir voglia di un secondo bicchiere.

Oggi la mezza bottiglia (è questo il formato più diffuso), con il cibo adatto, rischi di scolartela tutta. Per gli appassionati si apre un mondo (spesso snobbato) da scoprire.

Noi abbiamo cercato di affacciarci al settore approfittando a primavera della Mostra Nazionale dei vini Passiti di Volta Mantovana che è giunta alla sua dodicesima edizione.

Il palcoscenico di Volta Mantovana è un po’ cambiato. I vini presenti sono sempre molti, i visitatori sempre moltissimi (del resto il palazzo, con nuove zone restaurate, vale il viaggio), i produttori sono sempre meno.

Nata come vetrina per fare anche affari è diventata una vetrina per semplici appassionati (con bambini al seguito) così i pochi produttori presenti hanno virato sulla formula della mostra-mercato e le vendite al dettaglio sono andate molto bene.

I bresciani, che pure hanno in molti una versione passita dei loro vini, sono quasi scomparsi. I due che c'erano erano però ben lieti di esserci.

Alex Belingheri ha portato in fiera il suo Passito dell’Annunciata che nasce nei vigneti di Piancogno da uve Incrocio Manzoni, anche se poi ha finito con vendere di più il suo Nautilus, lo spumante affinato sul fondo del lago d’Iseo.

Maurizio Pasini, dell’azienda Pasini Giuseppe e Maurizio di Bedizzole, alla tipologia crede molto (anche se poi le bottiglie prodotte sono cinquemila per tre tipologie). Il suo Incompreso, un passito di uve Groppello, ormai è capito benissimo come anche Note gialle da uve Riesling e Incrocio Manzoni ha il suo mercato. La novità era invece rappresentata da un piacevolissimo Fiordirosé che è un vino dolce da vendemmia tardiva (non è quindi a rigore un passito) di Malvasia di Candia e un poco di Marzemino. Come dire che si può ancora inventare e stupire.

Dall’innovazione alla storia con il Moscato di Scanzo che di storia ne ha tanta, ma bottiglie sempre poche. Dicono da Fejoia che il mercato è fermo, ma la minuscola produzione (8 mila bottiglie) dell’azienda bergamasca di Scanzorosciate è esportata a Hong Kong, Cina, Usa e Nord Europa a prezzi soddisfacenti. Un altro minuscolo classico è l’Erbaluce di Caluso, microscopica denominazione del Piemonte. Da Briamara ci raccontano che il loro primo mercato è la Repubblica Ceca, oltre ai consumatori locali che lo bevono all'aperitivo abbinato alle acciughe.

Erbaluce è uno dei passiti più freschi per l'acidità naturale dell’uva che costringe a lunghissimi invecchiamenti (minimo quattro anni). Un carattere che condivide con il Lesini Durello, ancora molto acido malgrado abbiamo assaggiato un 2008, e il Torcolato di Breganze.

Se volete toni più soavi di zagara dovete rivolgervi al veneto Fiorarancio.

Chi lavora con uve meno dotate di acidità naturale, ha imparato ad anticipare la vendemmia con ottimi risultati. Ma il mercato mondiale è vario e così a Volta Mantovana erano proposti anche un passito cileno dal residuo zuccherino esagerato, non bilanciato da alcuna acidità, a fianco di Sudafricani dalla impronta nettamente vinosa, sorprendente per il tipo di vino.

Gianmichele Portieri

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