Cucina

L’artigianale è maggiorenne e vuole crescere

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La birra artigianale è maggiorenne. Quando il Birrificio Italiano a Limido Comasco e Baladin a Farigliano di Cuneo hanno fatto la prima cotta di birra artigianale, gli impianti in Italia erano sei e forse sette. Siamo arrivati a 703 produttori, 505 dei quali con impianti propri e gli altri che producono la loro personalissima birra prendendo le caldaie in prestito. Il settore si è insomma centuplicato in 18 anni, da non credere. Una avventura che l’immaginifico Teo Musso, fondatore di Baladin, ha fatto diventare anche un libro alimentando la fama di guru del settore.

Il compleanno è stato festeggiato nei giorni scorsi a Piacenza dove si è tenuta la prima edizione di Expo Birra, la prima rassegna birraria con l’ambizione di uscire dal giro, molto autoreferenziale, degli addetti ai lavori. Già perché i concorsi birrari e le feste della birra in Italia (ed anche a Brescia) si sprecano, ma, sono gli stessi organizzatori ad ammetterlo, le facce sono sempre le stesse, quelle degli appassionati di sempre, informati ed esigenti. L’ultima occasione bresciana per parlare di birra artigianale nel Bresciano c’è stata a Capriano del Colle con Madrebirra, riproposta da Birralab di Pierpaolo Abate. Ne parliamo qui a lato. L’impressione complessiva è che la manifestazione bresciana, complice anche il coinvolgimento di Slow Food, sia riuscita più di quella piacentina a coinvolgere un pubblico più vario. Ma quella è la sfida principe perché, è stato detto a Piacenza, i birrifici crescono, ma il consumo di birra è stabile attorno ai 27 litri pro capite, un dato che ci pone, insieme alla Francia, agli ultimi posti in Europa. Probabile uno spostamento del consumo dal prodotto industriale a quello artigianale (che è ora al 2% del mercato), ma non è pensabile che l’industria non si inventi presto delle contromisure.

Il compleanno è stato festeggiato più per interrogarsi (magari un po’ trasognati) sul boom in atto, che per festeggiare.

Ma tutta la prudenza del caso non impedisce di trovare riscontri davvero positivi. Il più sorprendente è che la birra artigianale italiana ha conquistato una solida reputazione sul mercato mondiale. Infatti non solo la si esporta, ma non c’è concorso internazionale dove non la si inviti. Non era nessuno fino a 18 anni fa. L’altra sorpresa è che, dopo gli inizi passati a copiare gli stili altrui, è nato in breve uno modo italiano per interpretare gli stili classici. Una birra chiara italiana non è più la copia di una Weiss o di una Blanche perché i cereali sono i nostri, perché non abbiamo bisogno dell’agrumato dei luppoli americani potendo usare i nostri agrumi (con il bergamotto in gran spolvero). Lo stesso Teo Musso che nasce con stile belga ora propone birre con la zucca e il miele ed è uscito con una birra che chiama orgogliosamente «Nazionale» perché è tutta prodotta, luppolo compreso, con ingredienti Made in Italy.

Del resto nelle birre entra la segale della Valcamonica, entra il monococco della Bassa, entrano le castagne (quelle camune, ma anche quelle toscane) ,entra l’erba amara San Pietro, ci vanno i lamponi e, nelle zone vinicole, persino mosti e vinacce. Negli ultimi anni si è diffusa dappertutto la maturazione della birra in barrique dismesse dai vignaioli e c’è persino chi tosta l’orzo con legna di ginepro.

Luca Giaccone di Slow Food dice che c’è uno stile territoriale della birra dove il terroir è il birraio. Un esperto, dice, si accorge anche alla cieca se una birra è lombarda o campana.L’onda ha raggiunto, infatti, anche le regioni del Centro Sud d’Italia ed è anzi lì che si trovano le più innovative soluzioni per impiegare i prodotti locali. Il futuro prossimo sembra proprio appannaggio degli agrobirrifici, birrifici cioè che si producono almeno il 50% delle materie prime. Ed è proprio a questi che abbiamo dedicato la nostra esplorazione con esiti non sempre entusiasmanti. La fedeltà al territorio non sempre si sposa con la qualità del birraio, un po’ come succedeva con i primi vini biologici, onesti ma un po’ ruspanti.

Ci sono però due problemi da risolvere per guadare il futuro con piena fiducia. La definizione della birra artigianale e l’individuazione del consumatore di questo prodotto.

Così si è detto che sarebbe facilissimo varare una leggina che dica che la birra artigianale deve essere un prodotto vivo, non pastorizzato e non filtrato (la dimensione non ha rilievo). Al secondo problema è più attento Agostino Arioli storico fondatore del Birrificio Italiano che tiene d’occhio Facebook per capire chi beve artigianale e chi industriale, ma anticipa già una convinzione: anche nel mondo della birra torna prepotente un bisogno di etica, di valori dei nostri nonni che credevamo di avere rottamato.

Gianmichele Portieri

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