Cucina

Caffè: ne sappiamo poco e scegliamo a caso

Risulta dalla ricerca dell’Istituto di Assaggiatori del caffè Ne bevono di più gli uomini delle donne
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Ne sappiamo poco, non andiamo troppo per il sottile con il gusto e soprattutto lo scegliamo a caso purchè «di strada». Stiamo parlando del caffè e constatare che è uno sconosciuto, fa una certa impressione in quello che sembra essere un Paese di «caffeinomani».

Eppure è proprio quanto emerge da una ricerca condotta al telefono da Apertamente srl di Monza, ma su un campione piuttosto ampio, su incarico dall'Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè (che ha sede a Brescia). La ricerca è stata presentata nei giorni scorsi a Milano e in precedenza a Roma e non manca di spunti sorprendenti.

Il primo dato che emerge è che i bevitori di caffè al bar sono solo il 78% degli italiani. Tutti si sarebbero aspettati più del 90%, invece no. C'è un 7% che beve caffè d'orzo, pochi che preferiscono il caffè al Ginseng e c'è un bel gruppo (il 12%) che beve qualcosa d'altro (un bel tema per chi gestisce un bar). Ad abbassare la media sono in realtà le donne. I maschi bevitori di caffè sono infatti il 91%, ma le donne invece sono solo il 67%.

Come scegliamo? Quasi tutti gli intervistati dicono che preferiscono il caffè che «piace di più» (86%), ma sono solo il 5% quelli che sanno motivare la propria scelta o per l'aroma o per il presunto contenuto di caffeina. Un altro dato che non corrisponde alla normale percezione del fenomeno è l'uso delle cialde o delle capsule. Le usa solo il 14% degli intervistati, mentre l'86% usa la moka. Il boom di mercato di questi prodotti farebbe pensare a dati diversi.

Ma parlando di gusto e non di economia, va notato che il caffè, non appena si apre il pacchetto, comincia subito ad ossidarsi. Cosa che accade anche nel macinadosatore del bar e infatti è una buona idea non bere caffè in un bar dove se ne servono pochi e di rado.

La cialda è invece confezionata singolarmente così che non fa a tempo ad ossidarsi rendendo il caffè migliore. La questione è quindi sì di praticità, ma anche di gusto. Dalla ricerca emerge che la percentuale maggiore di consumatori di caffè in capsule o cialde appartiene al ceto medio. Qui forse incide il costo della macchina.

Dove il caffè sembra proprio il proverbiale Carneade è quando si va a chiedere se si conoscono le monorigini, cioè i caffè che vengono da una singola zona come la Colombia, il Brasile, il Kenia o l'India. La ricerca dice che solo il 12% degli interpellati sa qualcosa dei caffè monorigine, in realtà riferendosi più che altro ad Arabica e Robusta che non sono territori, ma le due principali famiglie botaniche della pianta del caffè. Il «terroir», a quanto pare, è confinato nel mondo del vino.

Sulla scelta del bar non si va molto per il sottile: quello migliore è quello "di strada", quello sotto casa o sotto l'ufficio, però c'è una minoranza che va a scegliersi il bar dove fanno il caffè migliore. Si tratta del 14% che non è poi pochissimo. Andrebbe poi sommata ad un robusto 8% che pensa che i bar del centro hanno caffè migliore e quindi fanno due passi in più per concedersi una tazzina per bene.

Ma distinguere un caffè buono da uno che lo è meno è cosa per pochi. Alla domanda se il caffè sia migliore o peggiore di un tempo, il 74% dice che non è cambiato nulla, in sostanza non sa valutare. Però un’idea ben solida ce l’hanno quasi tutti: il caffè del ristorante è peggiore di quello del bar. Ma la speranza, per i torrefattori e i baristi che puntano sulla qualità nella tazzina, è l’ultima a morire. È emerso infatti un solido 25% di bevitori di caffè che sarebbe pronto a pagarlo più di un euro se fosse davvero più buono. Vero che il 75% pensa che un euro è fin troppo, ma si aprono comunque spazi per chi investe sul prodotto migliore.

Gianmichele Portieri

 

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